La sindrome della tana e il profumo della Rosa

di Giovanni Colombo

Molte associazioni stanno chiudendo i battenti. La riduzione dei soci, che era già in corso, ha avuto un’accelerazione negli ultimi tempi. Il Covid, con il distanziamento fisico – che è stato, al di là dei nominalismi dell’OMS, un distanziamento sociale -, e la guerra in Ucraina – con la paura dell’escalation – ha spinto tutti, chi più chi meno, a cercare rifugio nelle mura domestiche. ” Ho assestato la tana e pare riuscita bene”. Così inizia l’ultimo racconto, espressamente intitolato La tana, di quel stupefacente scrittore di nome Kafka, finissimo conoscitore dell’animo umano. Questo suo racconto, a mio avviso, interpreta bene quel che ci sta succedendo.  Il protagonista-talpa si è costruito una dimora sotterranea, scavando cunicoli labirintici, puntellandoli con cura, prevedendo uscite di sicurezza e spazi per le provviste. Dalla tana si allontana soltanto per rifornirsi di cibo, quanto basta ad una modesta sussistenza.

L’ostinazione con la quale sfugge ad ogni contatto con il mondo esterno produce l’effetto paradossale di rendere quel mondo sempre più pericoloso. Esso è soltanto immaginato, a partire da rumori provenienti da oltre le pareti; basta un lieve scricchiolio o un fischio per metterlo in allarme.  Là fuori tutto pare diventato ormai diverso, sconosciuto, gravido di minacce e ignoti pericoli. La prolungata e attenta dedizione all’impresa di costruire la tana muta progressivamente, giorno dopo giorno, la qualità della tana stessa: da rifugio provvisorio per tempi di eccezione, qual era all’inizio, si trasforma in dimora di una nuova normalità così poco normale. La voglia di uscire dalla tana e di riprendere la vita nel mondo, inizialmente assai vivace, a poco a poco scompare. E se anche la vita là sotto trascorre annoiata, apatica, quasi soffocata, pare preferibile alle incertezze della vita in un mondo estraneo. “Non devo proprio lamentarmi di essere solo e di non avere nessuno di cui fidarmi, così certamente non perdo alcun vantaggio e forse mi risparmio qualche danno. Fiducia posso avere soltanto in me e nella tana”.

Non sta succedendo così anche per noi? Chiusi in casa dalla paura, riduciamo al minimo le relazioni con l’esterno. Chiediamo certezze immediate, addirittura le pretendiamo come chi rivendica un diritto. Invece ad ogni nuovo notiziario i sospetti si infittiscono e l’aggressività aumenta.

Nessuna forma associativa può resistere a lungo in una temperie del genere. E non sorprende quindi che molte abbiamo già abbassato lasaracinesca.

La Rosa Bianca italiana, dopo 40 anni di attività, pur consapevole della sua fragilità, non chiude, anzi rilancia: durante l’assemblea nazionale di rinnovo delle cariche associative, invece di un presidente ne ha eletti addirittura due! La Rosa, con il suo profumo, con le sue iniziative formative, proverà a farci uscire dalla tana, a ridare vigore alle nostre menti e ai nostri lombi, a scommettere su quanto è oggi più eversivo: la fraternità senza terrore.