Il futuro che vogliamo

Un documento dal forum di Limena

È terribilmente facile ritornare barbari (Paul Ricoeur)

Le cattive idee hanno spesso un potere tremendo (Amartya Sen)

Un punto di svolta

Vi sono stati periodi nella storia recente in cui un mondo migliore è sembrato possibile. Oggi guardiamo al domani con diffidenza e paura. Non possiamo procedere in questo modo.

Dobbiamo reagire.

[Da novembre 2018 un gruppo di cristiani del Nord Est – laici e laiche, preti, religiosi e religiose – ha iniziato a incontrarsi per riflettere sulla situazione del Paese e delle Chiese Trivenete nel nuovo contesto. A questi incontri è stata dato il nome «Forum di Limena» dal luogo in provincia di Padova dove essi si svolgono, ad indicare il carattere di confine – tra il civile e l’ecclesiale, il politico e il culturale – che il loro convenire ha assunto.

Il documento è stato reso pubblico il 6 di aprile nel corso di un incontro tra i sottoscrittori. In contemporanea è stato dato il via a una raccolta allargata di adesioni, attraverso il sito www.forumdilimena.com. Scopo dell’iniziativa non è imporre le idee di coloro che l’hanno promossa, ma rompere il silenzio e sollecitare il confronto. A sostenerla è infatti la fiducia che parole non gridate possano essere ancora dette e ascoltate, favorire relazioni positive, ridare spazio alla speranza che il futuro sia ancora nelle nostre mani.]

Stiamo vivendo tempi fuori dell’ordinario, uno di quei crocevia della storia in cui i contorni essenziali della convivenza vengono ridefiniti. Siamo da ciò obbligati a chiederci tutti: “Che futuro vogliamo per noi e per i nostri figli?”. Sappiamo che in periodi come questi ci sono rischi, ma anche nuove opportunità, e che queste ultime potranno realizzarsi solo se proviamo seriamente a riprendere in mano il nostro futuro; se non restiamo a guardare, ma ci facciamo parte attiva e responsabile. Vorremmo porre dapprima cinque questioni fondamentali.

1. Il futuro sarà democratico?

Per prima cosa, il futuro si gioca sulla democrazia. I segnali di crisi sono evidenti. La democrazia pare a molti non aver mantenuto le sue promesse, di libertà, di uguaglianza, di benessere, di potere dal basso. In molti paesi, anche di consolidata tradizione democratica, i sistemi politici sembrano barcollare.

Il modello di democrazia costituzionale rappresentativa che ha retto i nostri Paesi per lungo tempo è qualcosa che va migliorato, perfezionato, riformato profondamente, ma anche difeso. I nemici, spesso inconsapevoli, della democrazia sembrano invece essere più agguerriti dei suoi difensori. Essi credono di aver trovato facili soluzioni, ma rischiano di proporre rimedi peggiori dei mali che dicono di voler contrastare. Per la prima volta nella nostra vita, in questi termini e con questa portata, non siamo più certi di poter escludere rischi di involuzione autoritaria.

2. Muri piuttosto di ponti

Rispetto a un fondamentale atteggiamento di apertura verso gli altri si vede oggi prevalere una preoccupante linea di rifiuto e chiusura. Alla fiduciosa convinzione di saper governare il confronto, certamente faticoso, ma infine arricchente, con persone e soggetti organizzati che vengono da altri paesi e da altre culture subentra l’inquietudine di perdere se stessi. La disponibilità all’incontro con mondi diversi viene perciò sostituita dalla chiusura e dalla paura. Giorno dopo giorno ci troviamo impegnati a costruire muri piuttosto che a gettare ponti, a badare ai confini piuttosto che a creare relazioni.

3. Identità “contro”

Ogni popolo è giustamente orgoglioso della propria identità, si sforza di affermarla e di farla progredire, ma vi sono identità che si chiudono e identità che si aprono ed evolvono. La prima via è quella del nazionalismo identitario che l’Europa ha conosciuto fin troppo bene nella prima metà del Novecento. Non siamo più così sicuri che quel passato non possa ritornare.

4. L’invenzione del nemico

I regimi autoritari spesso nascono e si irrobustiscono facendo credere ai cittadini che i loro problemi dipendono da un colpevole esterno. Si individua una minoranza poco accettata e priva di voce e la si incolpa di essere l’origine di tutti i nostri mali. Al legittimo bisogno di sicurezza non si risponde aumentando la sicurezza, ma additando un colpevole. Se il colpevole non c’è lo si inventa togliendogli quel po’ di protezione che aveva, in modo da indurlo a sentirsi un reietto e a comportarsi di conseguenza, così da giustificare le accuse. E il cerchio si chiude.

5. Pietà l’è morta?

Ma quello che, come cristiani, più ci colpisce e ci amareggia in certe posizioni, e ancor più nel fatto che vengano condivise, è la progressiva perdita del sentimento di compassione, quell’identificazione nel dolore dell’altro che è alla radice della nostra umanità e senza la quale non possiamo veramente vivere. Un tempo ci sono stati poveri che si sentivano abbastanza ricchi da accogliere i poveri. Oggi sembriamo un paese ricco che si immagina di essere così povero da non poter, in parte almeno, accogliere chi è meno ricco di noi. L’Europa, e l’Italia con essa, rischiano su questa strada di perdere la propria anima.

Il testo completo del documento di Limena con i primi firmatari è disponibile al link seguente https://forumdilimena.files.wordpress.com/2019/04/documento_limena_versione_completa_firmatari-1.pdf