Ferite epidemiche e tentativi di cura, nelle nostre ore di libertà

“La ferita della vita si può curare veramente solo se ci si prende cura delle ferite degli altri in una armoniosa
interdipendenza. Nessuno di noi è un’isola ed è precisamente per questo che dobbiamo capire che siamo un
arcipelago, capire che siamo un tessuto connettivo”.
(Vito Mancuso)

Dal bisogno generativo di interdipendenza, oltre che da uno spigliato senso di doverosa avventatezza, è emerso il percorso collettivo della Rosa Bianca di Pisa nei mesi del lockdown legato all’emergenza coronavirus. Con la chiusura nella dimensione domestica, con tutti i suoi pro e contro, abbiamo anche noi
vissuto il bisogno di tener vive e curate le relazioni, attraverso i pur limitati strumenti digitali.

La vitalità dello spazio associativo in cui siamo innestati, ossia il circolo ARCI Rinascita di Pisa, che ha riorganizzato presto le proprie iniziative pubbliche e i propri “spazi sociali virtuali” tramite canali Zoom, Google Meets e Discord nel comune palinsesto dal titolo “Nella nostra ora di libertà”, ha consentito anche al nostro gruppo di tener vivo qualcosa di più di una programmazione culturale.

L’affiancarsi, spesso nevrotico e confuso, di riunioni digitali ed incontri in formato video o anche lo stesso bisogno organizzativo di tenere attiva una comunità dimostrano molto presto la loro inefficacia: il punto centrale, infatti, non è la quantità di appuntamenti che si possono realizzare o i più o meno grandi numeri che si riescono a proporre, ma la loro qualità intrinseca. La creatività generativa della socialità, in tal senso, ha trovato ricchi spunti nella
nostra città, tramite la partecipazione alla reti in cui siamo innestati. Una qualità ed una creatività che costituiscono un atto vivo di democrazia e partecipazione, necessari per qualsiasi comunità di studio e vita politica. Una qualità ed una creatività che, nella bella pluralità di culture, credi e generazioni del gruppo, ha involontariamente attuato quell’abitare nella possibilità che costituisce il motto dell’indirizzario informativo della rivista Civiltà Cattolica, raccolto a sua volta dalla poesia I dwell in possibility di Emily Dickinson: creare in prima persona uno spazio di relazione nel tempo in cui la dimensione stessa dello spazio è sottoposta a limite, a sua volta manifestazione della finitudine umana di cui ci siamo, spesso, dimenticate/i.
Nelle prime settimane della chiusura abbiamo concluso la lettura del saggio storico e geopolitico del giornalista Fulvio Scaglione, “Il patto con il diavolo. Come abbiamo consegnato il Medio Oriente al fondamentalismo e all’ISIS” (BUR, 2016). Lo abbiamo fatto con la guida di Alessia Tortolini, dottoressa di ricerca e borsista del Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Pisa, di Francesco Tamburini, docente in storia del vicino oriente del medesimo dipartimento. Hanno attratto il nostro interesse, in
particolare, la discrasia nelle relazioni tra Stati Uniti con Arabia Saudita, da un lato, e Iran, dall’altro.
Nella consapevolezza del bisogno di semantizzare con sempre più cura parole come umma e i loro diversi piani politici e spirituali, ci siamo lasciati con l’impegno di tornare con un approfondimento da mettere a disposizione delle scuole con cui abbiamo già intessuto relazioni ed attività comuni.
Abbiamo poi scelto di approfondire due piste di riflessione alla base di tante discussioni informali nel gruppo: letture con un passato già proprio, che abbiamo incrociato nell’idea generale di immaginare le
prospettive antropologiche, economiche e politiche collegate all’epidemia.
La prima lettura, in tre appuntamenti, è stata “Confessioni di un sicario dell’economia mondiale. La costruzione dell’impero americano nel racconto di un insider” (2004) di John Perkins. Ci hanno sostenuto, con un proprio punto di vista, il prof. Davide Fiaschi, economista dell’Università di Pisa, il prof. Cesare Pozzi della LUISS, il giovane laureando in storia economica Ismail El Gharras (membro del Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari e del Consiglio Universitario Nazionale) e Serena della Rosa Bianca. L’opera è stata centrale nella disamina storico-economica dell’importanza della gestione dell’indebitamento pubblico in contesti di crisi: una vicenda che il nostro Paese sta affrontando in questi travagliati mesi, in relazione a strumenti finanziari potenzialmente utili o nocivi come MES e European Recovery Fund e alla diversa possibilità di articolare le relazioni internazionali a seconda della capacità dei grandi e piccoli partners europei e globali di dimostrarsi effettivamente solidali rispetto ad una stagione che esprime il bisogno di nuovi mezzi di azione. Giova ricordare la dura nota del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel giorno problematico di un’uscita tremenda ed infelice di Christine Lagarde: “si attende, a buon diritto, nel comune interesse, iniziative di solidarietà e non mosse che possono ostacolarne l’azione”. Giova ricordarlo, in particolare, agli alfieri più o meno consapevoli di una frugalità austera funzionale al mercato e non alle persone, dentro e fuori il Paese.
La seconda, anch’essa articolata in tre appuntamenti, è stata “Cose di Cosa Nostra” (BUR, 1991), intervista di Marcelle Padovani a Giovanni Falcone. In questo caso, i contributi sono stati del prof. Gianluca Fulvetti, storico del dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere dell’Università di Pisa, della dott.ssa Franca Panza, nostra co-presidente e giurista per formazione, del giovane storico Marvin Trinca e della dott.ssa Rosaria Anghelone, giovane insegnante precaria in diritto ed economia nelle scuole secondarie della provincia di Pisa, di Domenico Larizza, commercialista e consulente del Tribunale di Reggio Calabria nonché iscritto all’albo degli amministratori giudiziari. Se la parabola delle cupole storiche di Cosa Nostra può apparire un lascito per storici, l’attualità di un potere criminale diffuso e pervasivo esiste, sia nel Mezzogiorno che nel Centro e Nord del Paese. E, in un contesto di crisi, rischia di fungere da potenziale richiamo per piccole e medie imprese in crisi, sacche di marginalità, covi di resistenza diffusi alla presenza di un potere pubblico. Nel segno dell’individuazione di strumenti repressivi del fenomeno mafioso all’altezza dei tempi e della costruzione di una cultura sociale della legalità e della responsabilità, sarà questo un ulteriore asset di analisi per il prossimo tempo.
Ha certamente agevolato tale disposizione complessiva all’agire politico e culturale quella temperie positiva di azioni e proposte in cui la Rosa Bianca di Pisa è innestata: a partire dai primi giorni della crisi, infatti, interventi congiunti, sempre più programmati e gestiti con serietà, da parte delle case del popolo ARCI e della Caritas diocesana di Pisa, hanno consentito e consentono a nuclei familiari e singoli ridotti alla povertà o proprio alla sofferenza sociale di trovare ristoro, ascolto, attenzione, cura. È un lavoro silenzioso e che prosegue, nell’impegno di attiviste ed attivisti, volontarie e volontari, e che si affianca al grande impegno di medici, infermiere ed infermieri, personale di cura e di pulizie, talvolta precari/e o malamente contrattualizzati/e, che reggono con serietà la sfida diretta all’epidemia, ancora presente nel nostro mondo malgrado dichiarazioni spudorate e offensive di determinati pezzi di dirigenza politica ed economica del Paese.
La risposta costante e silenziosa alle ferite epidemiche e alla ferocia dei tempi, per noi, sta nei tentativi di cura, da costruirsi con senso della bellezza nella storia e delle dialettiche – anche conflittuali – necessarie per favorire un orizzonte ampio, nelle nostre ore di libertà.


Rosa Bianca Pisa