LA RIVOLUZIONE DI “PENELOPE”

Sulle pagine del giornale “Il Ribelle”, diffuso tra il 1944 e il 1945 erano apparsi alcuni articoli a firma di Battista o di Don Chisciotte o di Penelope, scritti da Laura Bianchini, resistente e madre costituente.
Una biografia su Laura Bianchini a cura di Daria Gabusi è disponibile al seguente link: https://biografieresistenti.isacem.it/laura-bianchini

Riportiamo la testimonianza di Paolo Giuntella, che l’aveva conosciuta a Roma come insegnante al liceo classico Virgilio.

di Paolo Giuntella

Laura Bianchini, una delle protagoniste assolute della grande avventura dossettiana (una delle poche donne, con Angela Gotelli e le stesse ospiti, le “signorine” Portoghesi, in un cenacolo di uomini sì eccezionali, ma certo un po’ misogino), è stata la mia insegnante di storia al liceo “Virgilio”. Era piuttosto scorbutica, scostante, burbera, ma sprizzava vita, intelligenza, passione civile e politica, e passione cristiana, da ogni poro. Fu lei ad introdurmi nella casa leggenda di Via della Chiesa Nuova 14, la casa dove per alcuni anni tra la Costituente e la prima legislatura soggiornarono Giuseppe Dossetti, Giorgio La Pira, Giuseppe Lazzati, per breve tempo la giovane famiglia Fanfani e i giovani dossettiani di passaggio come Baget Bozzo o Achille Ardigò. Laura Bianchini, infatti, era la mia insegnante di storia, e spesso, un po’ per interrogarci “fuori dell’aula”, cioè recuperando rispetto agli orari di lezione, un po’ per proporci degli approfondimenti, ci convocava nella mitica casa della “comunità del Porcellino”.

Fin da ragazzino ero vissuto con il “mito” di Giorgio La Pira e Giuseppe Dossetti, che mi aveva in parte suscitato papà (era stato segretario, come funzionario referendario, della famosa commissione dei 75 che redasse il testo della Costituzione) ed in parte la rivista molto speciale e molto “progressista” del Movimento giovanile dc “Italiacronache-mondo” alla quale in seconda-terza media mi ero abbonato avendola conosciuta non ricordo più dove non frequentando, allora, di certo ambienti partitici. Dunque per me quei pomeriggi erano una grande emozione, anche a detrimento della resa scolastica dell’interrogazione in storia, perché non riuscivo a concentrarmi ed ero distratto da quella “leggenda” che era per me la materializzazione della “storia contemoranea”. Se mi avesse interrogato anziché sulla storia medievale, dove mi fermavo ad un misero 6 o 6 e mezzo, sulla storia contemporanea avrei strappato sicuramente un otto o un nove.
Ricordo il sorriso permanente ed accogliente delle “signorine” Portoghesi, e qualche piccolo biscottino che arrivava mentre Laura Bianchini con il suo vocione concionava la nostra piccola rappresentanza della sua truppa ovvero con il suo ghigno burbero di interrogava. Ricordo il famoso e mitico porcellino (spero di non sbagliare) e la leggenda, forse parziale visto che eravamo discepoli della professoressa, che all’origine del nome della “comunità del Porcellino, appunto, ci fosse proprio lei con la sua abitudine di sacramentare con un “porco qui”, e un “porco là”, quando si lasciava infervorare dalle conversazioni e dalle polemiche politiche.

Da lei, in quella casa, ho appreso una lezione fondamentale per la mia vita: “un cristiano non può non essere anticlericale”, diceva Laura Bianchini, la professoressa di filosofia laureata all’Università Cattolica, studentessa lavoratrice, in parte autodidatta e quindi insegnante di filosofia all’Istituto Magistrale di Brescia e poi partigiana con le “Fiamme Verdi”. Anzi, di più, per me che vivevo dei quei “miti”: redattrice della rivista “Il ribelle” di Teresio Olivelli. E lo diceva battendo il pugno sul tavolo. Altre volte, dimenticando di averci già sottoposto questo “quiz”, ci chiedeva: “qual è il libro più anticlericale della storia?”. Qualcuno ingenuamente rispondeva: Le Candide di Voltaire, o si avventurava in altre ipotesi”. E lei, quasi sdegnata, da autentica cristiana integrale, libera, integerrima, “fedelissima in Cristo anche alla sua Chiesa, rispondeva immancabilmente: “Il Vangelo di Gesù Cristo!”. O poi argomentava: tutta la critica feroce e senza appello ai farisei, nel senso della doppiezza dei sepolcri imbiancati, ai sacerdoti del tempio, agli scribi, ai leviti… cui preferiva pubblicani prostitute e samaritani… Avete dimenticato la parabola del Buon Samaritano? Provate a sostituire con personaggi equivalenti di oggi il sacerdote del tempio, il levita e il samaritano…”

Indimenticabile lezione di una cattolica democratica, di una cristiana personalista e comunitaria (e “rivoluzionaria” rispetto agli stili di vita, ai luoghi comuni, agli stereotipi, ai modelli che già allora stavano emergendo con gli effetti del boom, il primo consumismo e le polemiche anticomuniste dei perbenisti contro Moro, il Concilio, La Pira, lo stesso Fanfani…). Del resto anche la sua scelta, dopo essere stata deputata alla Costituente e nella prima legislatura repubblicana dopo le elezioni del 1948, di lasciare la politica parlamentare come Dossetti, Lazzati e La Pira (che dopo la sua straordinaria esperienza di sindaco di Firenze, tornò in parlamento per un brevissimo tempo solo con la segreteria dc di Benigno Zaccagnini, altro giovane dossettiano di allora, nel 1976, un anno prima di morire…) e tornare all’insegnamento, rientra in quel primato dell’essere cristiani, in quel primato dell’educazione e della libertà di coscienza, della riforma della Chiesa rispetto ai tatticismi inevitabili della politica, che sono l’essenza del principio di non appagamento del cristianesimo.

Noi, o almeno io, dalla saletta da pranzo dove immaginavamo si fossero svolte grandi discussioni tra Dossetti e Fanfani, La Pira e Lazzati, con gli interventi di puntualizzazione della Bianchini, e le visite di Moro e di tanti altri, con immaginabili battute nei confronti di De Gasperi e del governo “amico”, sbirciavamo di tanto in tanto verso altre stanze dove sentivamo la voce di ospiti autorevoli. Un giorno c’era lo storico Giuseppe Alberigo, che la Bianchini ci presentò, un giorno sbirciai Ardigò, un’altra volta Giorgio La Pira…

E come dimenticare le scale, quelle scalette di via della Chiesa Nuova 14, quel clima di Roma profonda e bellissima, quasi a contrasto con quel cenacolo “nazionale” e così poco “romano”…quella parentela di quelle mura con la Chiesa storica di san Filippo Neri, santo romano per eccellenza (ancorché fiorentino) insieme agli altri grandi santi “romani” ma anch’essi forestieri, San Felice di Cantalice e san Benedetto Giuseppe Labre.

Forse, in un altro Paese la casa delle “signorine” Portoghesi sarebbe “monumento nazionale”. Certo, se penso ai testimoni cristiani che ci hanno abitato e che ci sono passati, dalla Bianchini alla Gotelli, da Lazzati a La Pira e Dossetti, è in ogni caso un monumento al miglior cattolicesimo italiano del ‘900. E sono felice d’aver varcato la porta di questo monumento e d’aver respirato almeno l’aria, il soffio, che quelle mura hanno raccolto, pur conservando, in molti casi, sogni e segreti.