Ricordando David Sassoli, il suo impegno nella Rosa Bianca e per i migranti

di Vincenzo Passerini

Un saluto cordiale a tutte le persone presenti. Grazie per la vostra presenza.

L’intervento si è tenuto nel corso della presentazione de “L’archivio politico di Vincenzo Passerini: 40 anni di impegno civile e politico” del 28 aprile 2022, a Rovereto (Tn), presso la biblioteca “G. Tartarotti”.

Saluto e ringrazio di cuore la vicesindaca del Comune di Rovereto, Giulia Robol, per aver voluto presiedere questo incontro e per le sue parole. Sono davvero grato al Comune di Rovereto e alla Biblioteca Civica “G. Tartarotti” per aver accolto e inventariato, con cura e solerzia, l’archivio.

Un particolare ringraziamento va anche a coloro che hanno lavorato con competenza e direi anche con passione all’inventario: Rinaldo Filosi, della Biblioteca Civica, che ha guidato il lavoro, Ornella Bolognese, Chiara Bruni, Francesca Tecilla della Cooperativa Koinè che hanno ordinato e inventariato così bene il materiale. Chiara Bruni, tra tutte, è colei che particolarmente vi ha lavorato e a lei va un ringraziamento speciale.

Se il progetto è andato in porto è anche merito della Fondazione Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto che sostenuto finanziariamente il progetto del Comune e della Biblioteca. Un sentito ringraziamento anche alla Fondazione.

Non posso, naturalmente, dimenticare l’ex direttore della Biblioteca Civica, Gian Mario Baldi, da pochi mesi andato in pensione, che rispose fin da subito e con entusiasmo alla possibilità che gli avevo paventato di consegnare questo materiale alla Biblioteca e che poi ha fatto tutto il necessario perché questo avvenisse abbastanza celermente e il materiale fosse inventariato senza rinvii. L’ideatore primario di questo archivio accolto e inventariato è il dott. Baldi e lo ringrazio di cuore.

Se risposi positivamente alle sue sollecitazioni fu perché questo archivio non contiene solo carte relative a un impegno personale, di per sé piuttosto ordinario, ma contiene soprattutto carte che si riferiscono a un impegno collettivo che va al di là della mia persona. Quindi all’attività di gruppi, associazioni, organizzazioni, movimenti nei quali mi sono impegnato e che possono rappresentare dei tasselli interessanti della vita collettiva. Di questo parlerà poi Rinaldo Filosi. Mi sarebbe spiaciuto che queste carte, che raccontano alcuni o molti aspetti di queste attività collettive, andassero un domani perdute.

Se non fosse stato per questo, mi sarei attenuto a quando diceva mirabilmente in una poesia, che mi è stata sempre molto cara, Boris Pasternak, un grande russo che a lungo patì l’isolamento e l’ostracismo del regime sovietico, come accade in queste settimane per tanti scrittori, giornalisti, politici, cittadini liberi russi che si oppongono alla barbara invasione dell’Ucraina da parte del regime di Putin che sta devastando con bombardamenti e stragi di inaudita ferocia quella popolazione a noi così cara.

Vi leggo questa poesia di Pasternak, nella versione di Angelo Maria Ripellino, intitolata “Essere rinomati non è bello” e tratta dalla edizione Einaudi delle sue “Poesie”:

« Essere rinomati non è bello, / non è così che ci si leva in alto. / Non c’è bisogno di tenere archivi, / di trepidare per i manoscritti. /

Scopo della creazione è il restituirsi, / non il clamore, non il gran successo. / È vergognoso, non contando nulla, / essere favola in bocca di tutti. /

Ma occorre vivere senza impostura, / viver così da cattivarsi in fine / l’amore dello spazio, da sentire / il lontano richiamo del futuro. /

Ed occorre lasciare le lacune / nel destino, non già fra le carte, / annotando sul margine i capitoli / e i luoghi di tutta una vita. /

 Ed occorre tuffarsi nell’ignoto / e nascondere in esso i propri passi, / come si nasconde nella nebbia / un luogo, quando vi discende il buio. /

Altri, seguendo le tue vive tracce, / faranno la tua strada a palmo a palmo, / ma non sei tu che devi sceverare / dalla vittoria tutte le sconfitte. /

E non devi receder d’un solo / briciolo dalla tua persona umana, / ma essere vivo, nient’altro che vivo, / vivo e nient’altro sino alla fine. »

(da B. Pasternak, Poesie, introduzione e versione di Angelo Maria Ripellino, prefazione di Cesare G. De Michelis, Einaudi, Torino 1992, pp. 247- 248).

In questa stupenda poesia di Pasternak vedo la vita di tante persone, care o sconosciute, che si sono restituite in silenzio alla creazione, dando ad essa tutto se stesse.

Nelle carte di questo archivio non c’è niente di eclatante. Sono pezzi di piccole storie.

E una di queste piccole storie è quella della Rosa Bianca, un’associazione nata nel 1979 per iniziativa di Paolo Giuntella, giornalista romano, ma soprattutto suscitatore appassionato di impegno civile, che aveva raccolto un gruppo di giovani provenienti da varie regioni italiane, tra cui il sottoscritto insieme ad altri trentini, che gravitavano nell’ambito del cattolicesimo democratico (in particolare nell’associazione Lega Democratica fondata, tra gli altri, da grandi personalità della cultura e della società, come Pietro Scoppola, Achille Ardigò, Paolo Prodi, Ermanno Gorrieri, Leonardo Benevolo, Paola Gaiotti De Biase).

A questa piccola storia si rifà anche la vicenda umana e politica di David Sassoli.

Questo nostro incontro è inserito nella II Settimana Civica nazionale, intitolata “Protagonisti. Non spettatori”, e dedicata proprio a David Sassoli, Presidente del Parlamento europeo e “cittadino esemplare”, come recita il comunicato ufficiale della Settimana Civica, scomparso l’11 gennaio di quest’anno a 66 anni non ancora compiuti. La sua morte suscitò una vastissima emozione perché con Sassoli ci lasciava un pezzo di buona e bella politica di cui il nostro tempo, anzi, ogni tempo, ha un grande bisogno. 

Quando Sassoli fu ricordato a Strasburgo nell’aula del Parlamento europeo, sullo scranno dei parlamentari, e anche su quello di un ospite di eccezione, il presidente del Consiglio dei ministri italiano Mario Draghi, c’era una rosa bianca.

Scrissi un articolo sul mio blog, il 21 gennaio, intitolato “Dove nascono le rose bianche per David Sassoli”, che ebbe una certa diffusione e attenzione anche a livello nazionale, per raccontare la piccola storia dell’associazione Rosa Bianca il cui nome si rifaceva a quello del gruppetto di giovani antinazisti tedeschi uccisi nel 1943. Quelle rose bianche per Sassoli non significavano soltanto il suo riferimento a quella lontana e bella esperienza di resistenza di quei giovani cristiani antinazisti, ma ricordavano anche il suo stretto legame con la piccola associazione Rosa Bianca italiana.

Quel mio articolo è stato gentilmente stampato in un opuscoletto per questo nostro incontro dalla Biblioteca e sarà distribuito ai presenti. Grazie anche per questo bel pensiero che collega  idealmente e materialmente il ricordo di David Sassoli con l’archivio che qui presentiamo.

Mi limito quindi, in questa sede, a ricordare brevemente alcuni aspetti e momenti della vicenda della Rosa Bianca.

Scriveva Paolo Giuntella, il fondatore, che “quelli della Rosa Bianca antinazista non erano eroi o santi lontani e irraggiungibili, ma studenti come noi, per giunta attratti dalle stesse letture. Avevamo in comune con loro dei maestri, e la passione per la letteratura e la poesia, il fuoco della politica e della ribellione all’ingiustizia. Ecco perché, quando si presentò l’occasione – io credo a certe coincidenze spirituali, [è sempre Giuntella che parla]a un disegno esterno e superiore alle nostre volontà che crea incredibili e straordinari legami non solo simbolici – tirai fuori come nome di un’associazione nascente quello pieno di suggestioni evocative della Rosa Bianca.”

Nel gruppo romano della Rosa Bianca c’è anche David Sassoli, classe 1956, fiorentino trapiantato a Roma. È uno dei giovani, alcuni dei quali diventeranno giornalisti affermati, che frequentano l’associazionismo cattolico (Fuci, Scout, Azione Cattolica) e hanno in Giuntella, nella sua casa (sempre ospitale anche grazie a Laura Rozza, già presidente nazionale della Fuci, moglie di Paolo e non meno coinvolta di lui nella Lega democratica e poi nella Rosa Bianca) e nelle sue iniziative un fecondo, creativo e anticonformista centro di aggregazione culturale, spirituale, politico.

Le rose bianche per David Sassoli nascono in questo ambiente umano, religioso, politico.

Fin dall’inizio, la Rosa Bianca, non pensa a grandi progetti, a chissà quale proprio ruolo. Si pensa come piccolo gruppo, piccola comunità, e tale resterà. Sempre. Anche adesso, dopo più di quattro decenni di vita, con alti e bassi, e aderenti che cambiano, inevitabilmente, è un piccolo gruppo. Non ha mai ambito a niente di più. Un piccolo gruppo di coscienze libere che si aiutano a crescere insieme, spiritualmente e culturalmente, e che poi si impegnano nelle rispettive realtà, negli ambiti, politici, sociali, ecclesiali che ciascuno ritiene più idonei.

Un orientamento forte accomunava i giovani fondatori, pur nella diversità delle storie personali: la necessità di creare uno spazio dove poter investire le proprie speranze e la propria tensione utopica frustrate dalla politica esistente e dalla deludente situazione ecclesiale. Si cercava una nuova sintesi tra le grandi speranze di cambiamento (sociale, politico, ecclesiale), il richiamo esigente al Vangelo e l’impegno concreto nella realtà. Questo richiedeva, innanzitutto, la formazione di se stessi.  

E così, questo piccolo gruppo, circa una quindicina di persone provenienti da varie regioni, comincia la sua attività riunendosi a Roma in qualche fine settimana, magari facendo di notte 600 chilometri all’andata e altrettanti al ritorno, per discutere insieme di un libro di teologia o di sociologia. Per cominciare a formarsi insieme.

Nasce poi l’esigenza di allargare ad altri la formazione. E così si promuovono le “scuolette” di politica, dei fine settimana di due-tre giorni. Firenze, Limone sul Garda, Pisa, e poi Mazzin di Fassa e quindi Campitello di Fassa, tra il 1981 e il 1982, dove queste “scuole” sono articolate in quattro intensi giorni di formazione con relatori nazionali di grande rilievo e lavori di gruppo.

E dal 1983 queste “scuole estive di formazione politica” approdano a Brentonico dove rimarranno per sedici edizioni, fino al 1999. I partecipanti sono per lo più giovani, provenienti da tutte le regioni. Cento, duecento, anche trecento partecipanti. Scuole totalmente autofinanziate con le quote di iscrizione.

Tra i temi la democrazia, il valore delle istituzioni e della società civile, la libertà, la giustizia, la legalità, le povertà, i migranti, un’Europa delle libertà, dei diritti, della pace, dell’accoglienza e dell’inclusione.

David Sassoli, quando diventa nel 2009 parlamentare europeo, ha già attraversato diversi luoghi professionali, culturali, politici, ma quell’impronta originaria della Rosa Bianca gli resta. Anzi, si può dire che la Rosa Bianca sboccia pienamente in lui proprio a Strasburgo.

Come ricorda la sua collega parlamentare europea Patrizia Toia, Sassoli “ha già chiaro quale Europa vuole e quale Europa rifiuta; ha già chiaro, e lo dice a gran voce, che non sono i ‘muri’ la risposta, che non è l’austerità la strada, che non è la negazione dei diritti il modo per difendere i valori” (P. Toia, “Un grande europeo”, in “Appunti di cultura e politica”, anno XLV, 1, 2022, gennaio-marzo).

E Gianni Borsa, giornalista corrispondente da Bruxelles per l’agenzia Sir, scrive: “Sassoli portava nel dibattito democratico convincimenti radicati e preoccupazioni sincere per i poveri, gli esclusi, gli anziani, i malati, la condizione giovanile, la parità tra i generi, la carenza di diritti per i migranti” (G. Borsa, “Cattolico democratico coerente e coraggioso”, in “Appunti di cultura e politica”, anno XLV, 1, 2022, gennaio-marzo).

Quando diventa presidente del Parlamento europeo nel 2009 lancia, insieme alla Commissione e al Consiglio, un importante momento di partecipazione democratica dei cittadini attraverso la Conferenza sul futuro dell’Europa. I cittadini sono invitati a partecipare. Costruire un rapporto più stretto tra cittadini e istituzioni è uno degli obiettivi principali dei suoi due anni e mezzo di mandato come presidente del Parlamento europeo.

Quando nei primi mesi del 2020 scoppia la pandemia, Sassoli diventa una voce determinante nel far nascere il Piano di Recovery per l’economia e la società. Un piano non scontato, con tanti avversari. Si prodiga in una incessante opera di coinvolgimento per una Europa più unita, più solidale, più giusta.

Durante il lockdown fa funzionare pienamente il Parlamento a distanza. Le commissioni si riuniscono, gli atti e i regolamenti vengono approvati celermente. Il Piano di Recovery nasce anche per questo suo impegno.

Non solo. Mentre il palazzo del Parlamento di Strasburgo è chiuso e i parlamentari lavorano a distanza, apre le porte del Palazzo ai poveri e alle persone senza dimora. Come scrive Irene Giuntella in una corrispondenza da Bruxelles per “Il Quotidiano del Sud” (12 gennaio 2022) in ricordo di Sassoli, il presidente aprì le cucine del Parlamento per preparare fino a 1000 pasti al giorno per le persone senza fissa dimora, mentre 100 donne vulnerabili vi trovarono accoglienza (I. Giuntella, “Il volto umano di Bruxelles, porte sempre aperte a tutti e mai un muro”, Il Quotidiano del Sud, 12 gennaio 2022).

Diceva Sassoli: “Ogni sforzo deve dimostrare che ci prendiamo cura delle persone, che vogliamo far vivere anche nell’emergenza in nostri valori, che la democrazia non si ferma”, e poi: “Dobbiamo mantenere vive le nostre democrazie e ascoltare i nostri cittadini durante questo periodo di emergenza”. Affermò più volte: “L’umanità dei nostri cittadini è la nostra più’ grande ricchezza”.

Ma Sassoli è stato anche un intransigente difensore dello Stato di diritto contro gli autoritarismi striscianti. La testimonianza dei giovani antinazisti della Rosa Bianca morti per la libertà aveva lasciato in lui un segno indelebile. Oggi facciamo fatica a capire perché si è morti, ieri (abbiamo appena ricordato il 25 aprile), e perché si muore per la libertà anche oggi, come in Ucraina e in tanti altri posti del mondo, perché la libertà noi ce l’abbiamo e la diamo per scontata. Ma così non è per tante persone in questo mondo che la loro libertà la devono difendere o conquistare.

Proprio un anno fa, il primo maggio 2020, il presidente del Parlamento europeo David Sassoli e sette alti funzionari europei furono inseriti nella lista nera, quelle delle persone cui era vietato l’ingresso in Russia, da parte del presidente Putin, come ritorsione per le sanzioni varate a marzo dall’Unione Europea e i provvedimenti da essa adottati contro sei dirigenti russi per l’arresto e la carcerazione da parte del governo russo dell’oppositore politico Alexiei Navalny e per altre gravi violazioni dei diritti umani.

In quella occasione Sassoli disse: “A quanto pare, non sono il benvenuto al Cremlino. Lo sospettavo un po’”, aggiungendo: “Nessuna sanzione o intimidazione fermerà me o l’Europarlamento dalla difesa dei diritti umani, della libertà e della democrazia. Le minacce non ci zittiranno”. E citava il grande scrittore russo Tolstoj che scrisse: “Non c’è grandezza dove non c’è verità.”. Il presidente Mattarella gli telefonò esprimendogli la sua piena solidarietà e dichiarando poi: “Siamo orgogliosi di aver contribuito a questa svolta della strategia dell’Unione Europea e ne sosteniamo le Istituzioni: queste sono baluardo insostituibile di democrazia e di libertà ed è inaccettabile ogni attacco dall’esterno che pretenda di indebolirle.”

Nel gennaio di un anno fa fui promotore, insieme a Laura Rozza Giuntella e a un gruppo di esponenti del mondo culturale e sociale cattolico-democratico, di un appello al presidente del Parlamento europeo Sassoli per salvare i bambini profughi pressoché detenuti in condizioni disumane sull’isola greca di Lesbo.

Questo appello, che fu pubblicato in prima pagina dal quotidiano “Avvenire” il 20 gennaio 2021, diceva:

“Signor presidente Sassoli, salviamo dalla disperazione i bambini prigionieri sull’isola di Lesbo. Quarantanove di loro hanno manifestato idee suicide lo scorso anno. L’ha denunciato Medici Senza Frontiere. Un crimine contro l’umanità accade sotto i nostri occhi. Non possiamo far finta di nulla.

Presidente Sassoli, mobiliti i rappresentanti dei 27 Stati che siedono nel Parlamento europeo che Lei presiede perché tolgano da quella disumana prigionia i bambini e le loro famiglie, profughi da anni sull’isola greca, e vengano accolti nel continente. E diano loro nuovamente fiducia nella vita.

Sono siriani, afghani, iracheni, africani costretti a fuggire dalla guerra, dal terrorismo, dalla violenza di Stato, dalla povertà, da persecuzioni religiose o politiche. Glielo dobbiamo, in nome di quei valori, umani, culturali, laici, cristiani sui quali l’Europa e i singoli Paesi dell’Unione dicono di fondarsi. Come è possibile che l’Europa assista indifferente a una simile tragedia?”.

L’appello poi proseguiva, ma mi fermo qui.

Due giorni dopo arrivò puntuale la risposta di Sassoli e questa la riporto integralmente perché è una specie di suo manifesto dell’Europa che sognava e che instancabilmente cercava di realizzare tra mille ostacoli e mille difficoltà:

“Gentile direttore,

ho accolto come un forte incoraggiamento l’appello di diverse personalità che sul suo quotidiano mi è stato rivolto nei giorni scorsi per salvare i bambini accolti nell’isola di Lesbo.

Una situazione drammatica, disumana, che li costringe in condizioni di grave pericolo. Lo scorso anno insieme ai presidenti delle altre istituzioni dell’Unione – Von der Leyen e Charles Michel – rivolgemmo anche noi un invito ai governi nazionali per accogliere i minori e le persone più vulnerabili raccolte nei campi allestiti in Grecia.

Qualcosa è stato fatto, ma troppo poco. E ora, a seguito della denuncia di Medici Senza Frontiere il tema viene riproposto accompagnato dalle notizie sui tentativi di suicidio di ragazzi e giovanissimi. Un grido d’allarme che ripropone l’egoismo dei Governi nazionali e la mancanza di poteri dell’Unione Europea in materia di immigrazione e di asilo.

C’è un deficit insopportabile di sovranità europea che costituisce un danno umanitario. E anche una ferita politica.

È evidente a tutti che le soluzioni possono essere trovate soltanto a livello europeo, mentre le politiche immigratorie restano di competenza degli Stati nazionali.

Ma chi può immaginare che l’Unione non abbia gli strumenti per intervenire e si limiti ad azioni per lo più di persuasione? Gli Stati nazionali, invece, sono sempre più riluttanti a concedere poteri all’Unione, a trasferire quote di sovranità. Le attività di supplenza sono relative al sostegno finanziario, ma non costituiscono un obbligo di accoglienza e solidarietà. È accaduto anche lo scorso anno, come ricordavo.

E a fronte degli appelli e inviti a occuparsi dei minori e dei più vulnerabili, la disponibilità all’accoglienza riguardò 550 ragazzi e 1.150 famiglie con bambini.

Se non vi sarà una forte pressione sui Governi nazionali, anche da parte delle opinioni pubbliche, la risposta continuerà ad essere frammentaria e insufficiente.

Anche in questo momento la Commissione europea e le Agenzie dell’Unione, insieme alle organizzazioni umanitarie, stanno cercando in tutti in modi di dare un aiuto e alleviare le sofferenze di migliaia di donne, uomini e bambini.

Ma molti Governi ancora hanno paura di mostrarsi generosi nei confronti di chi fugge dalla fame. Spesso sono gli stessi Governi che hanno aperto le loro porte e i loro confini alla finanza globale e a grandi gruppi oligarchici che hanno aumentato e aggravato le diseguaglianze.

Forse è giunto il momento di raccontarsi la verità sugli ultimi venti-trent’anni di vita dell’Occidente. Ci hanno fatto credere che una crescita illimitata, senza freni e senza regole, avrebbe portato tutti al benessere.

Non è stato così: il divario tra ricchi e poveri si è allargato in proporzioni inaccettabili, intere nazioni sono state sottoposte a rigidi e insopportabili sacrifici per le popolazioni, molti interventi hanno indebolito il nostro modello sociale.

La nozione di bene pubblico è stata erroneamente disgiunta dall’esigenza di risanamento economico. Per i Paesi in via di sviluppo tutto questo è costato ancora più caro. E via via la povertà è diventata una colpa. E addirittura un reato.

Il dovere della politica oggi è quello di riappropriarsi del valore della lotta alla povertà. Aiutare i bambini di Lesbo non è soltanto un gesto umanitario, ma un solenne atto politico, perché riporta l’umanità nell’agire pubblico.

La pandemia, con la sua forte carica di dolore, ci può consentire di aprire gli occhi e inventare soluzioni nuove. Ogni volta che i problemi colpiscono tutti è più facile sviluppare azioni comuni. Dobbiamo farlo anche sull’immigrazione e l’asilo.

Per questo la voce e l’indignazione dei cittadini è oggi davvero importante. Non possiamo lasciare il campo alle urla e alle bestemmie di coloro che non considerano preziosa la vita degli altri.  David Sassoli, Presidente del Parlamento Europeo.” (D. Sassoli, “Con i bambini di Lesbo e per una giusta Europa”, “Avvenire”, 22 gennaio 2021)

Una decina di giorni dopo mi telefonò a casa. E sentii anche dal suo tono appassionato e a tratti amareggiato quanto la questione gli stesse a cuore e quanto soffrisse di fronte agli ostacoli posti dai vari Stati per una soluzione europea e solidale di questo dramma e di altri drammi, come quelli lungo la rotta balcanica e i naufragi di barconi nel Mediterraneo che continuano a provocare atroci morti di profughi. Mi raccontò anche dei corridoi umanitari che si erano cominciati a fare e che erano stati progettati da alcuni Stati in collaborazioni con organizzazioni religiose e della società civile con il sostegno dell’Europa. Ancora troppo poco, ripeté, ma non dobbiamo demordere.

Nel suo messaggio per il Natale 2021, un paio di settimane prima che la malattia che lo aveva colpito da anni avesse la meglio su di lui, scriveva:

«In questo anno abbiamo ascoltato il silenzio del pianeta e abbiamo avuto paura. Ma abbiamo reagito e costruito una nuova solidarietà perché nessuno è al sicuro da solo. Abbiamo visto nuovi muri. I nostri confini, in alcuni casi, sono diventati i confini tra morale e immorale, tra umanità e disumanità. Muri eretti contro persone che chiedono riparo dal freddo, dalla fame, dalla guerra, dalla povertà. Abbiamo alla fine realizzato, dopo anni di crudele rigorismo, che la disuguaglianza non è più né tollerabile, né accettabile. Che vivere nella precarietà non è umano. Che la povertà è una realtà che non va nascosta ma che dev’essere combattuta e sconfitta. È il dovere delle Istituzioni europee di proteggere i più deboli e non chiedere altri sacrifici, aggiungendo dolore al dolore.”

Era il suo testamento morale e politico. Era come un ricapitolare una intera esistenza, dalle speranze giovanili ai progetti al vertice della massima istituzione rappresentativa europea. La piccola rosellina bianca era proprio lì sbocciata in tutto il suo splendore.