Sta avanzando un “nuovo cristianesimo” postscristiano

Ripubblichiamo un articolo di Paolo Giuntella, con spunti ancora attuali di riflessione sul cristianesimo e il nostro tempo.

di Paolo Giuntella  (da “Europa” del 5-11-2004)

Gli ottimi articoli di Giuliano Amato (lunedì 1 novembre) e l’editoriale di qualche settimana fa di Ezio Mauro su Repubblica hanno avuto il merito di porre un problema che molti cattolici, non solo intellettuali ma anche semplici credenti praticanti impegnati, da tempo avvertono in modo sempre più inquietante. Sta avanzando un “nuovo cristianesimo” postcristiano, cioè disancorato dalla parola di Dio, dalla Bibbia e dalla storia della chiesa e delle chiese.

Un cristianesimo senza Vangelo, ovvero con il Vangelo solo copertina e a pagine bianche, un cristianesimo di “civiltà”, di “identità geopolitica”, che non ha più rapporto con l’annuncio del Cristo, la “debolezza” della croce, ed ha solo nostalgia della deriva temporalista, della tradizione intesa come tradizioni popolari e non certo come tradizione cristiana incarnata nella parola, nella letteratura dei padri della chiesa, nei modelli degli Atti degli Apostoli e delle prime comunità cristiane, nella povertà della chiesa.

È un grave problema perché rischia di creare una sorta di religiosità pagana parallela che si appella alla difesa delle radici cristiane dell’Europa e dell’ occidente per mere ragioni identitarie e geopolitiche, insomma come istrumentum regni. Non è la prima volta che accade nella storia e l’ultimo caso clamoroso, quel movimento Action Française di Charles Maurras, che aveva agli inizi attratto anche cattolici come Maritain, fu addirittura scomunicato da Pio XI. E non sarà l’ultimo. Ma oggi nell’occidente secolarizzato e percorso (soprattutto negli Usa) da sette fondamentaliste o da vaghi spiritualismi new age, il problema di una religione “civile”, politica, che si offra come rito, come liturgia, come consolazione, a difesa degli egoismi nazionali o del nord del mondo e trasformi anche la simbologia cristiana (il crocefisso, la liturgia, appunto, i capolavori dell’arte…) in simulacri condendo valori conservatori (e spesso pagani) con valori evangelici è grave.

L’apice, e dunque il campanello dall’allarme, fu quella grande cerimonia religiosa ma convocata dal presidente Bush dopo l’11 settembre, con tutte le grandi confessioni presenti in America (cattolici, protestanti, ebrei, musulmani) unite in preghiera in un rito non spontaneo, politico-istituzionale, appunto come liturgia “civile“. Lo stesso presidente che poi, alla vigilia della guerra in Iraq avrebbe rotto persino con la sua setta religiosa perché contraria all’azione militare.

In Italia la difesa a spada tratta (ossessiva ed ideologica) del crocifisso nelle scuole da parte di uomini e movimenti che si erano fino a ieri definiti volutamente pagani, la stessa difesa delle radici cristiane nella Costituzione europea, sono avvenute e continuano in bocca a non credenti, non praticanti, che forse non hanno mai avuto dimestichezza con il Vangelo. Altrimenti non sarebbero sfuggite loro pagine fondamentali come il Magnificat, le Beatitudini e le Maledizioni dei ricchi nel Vangelo di Luca, l’episodio del giovane ricco, il fatto che Gesù di Nazareth affida all’incontro con la samaritana e alla parabola del buon samaritano la sintesi del cristianesimo: l’essenza della fede, l’acqua della vita eterna, e la fraternità, la solidarietà il soccorso.

E i samaritani, vale la pena di ricordarlo, venivano considerati dai giudei né più né meno come noi consideriamo e disprezziamo gli zingari. Impuri, sporchi, ignoranti, persone alle quali non si rivolgeva neppure la parola.

Per non parlare poi delle prostitute, dei pubblicani, di Zaccheo… insomma anche senza scomodare Emmanuel Mounier o Johannes Metz, il cristianesimo, attraverso la parola rivelata, non può che apparire una “religione anti-borghese“. Certamente la predicazione di Gesù prese di petto benpensanti e perbenisti, ed aprì la braccia e il cuore a tutti i rifiutati.

Ci sono in realtà due versioni di questo post-cristianesimo che cerca di usare la croce come corpo contundente e come tessera per dividere, e la copertina del Vangelo con le pagine bianche per evitarne il contenuto sovversivo.

Quella neoconservatrice perbenista e liberista che dopo aver adorato per almeno due decenni il dio Oro (la felice espressione è di Gustavo Gutierrez) ora riscopre sull’esempio dell’ex-comunista Milosevic (che sostituì il dio infranto del partito con il mantello identitario e ideologico dell’ortodossia, imbarazzando non poco preti e vescovi e con il risultato che le chiese serbe rimasero comunque vuote) il cristianesimo come identità e non come esperienza di fede liberante.

E quella più tradizionalista, neoléfébvriana, propria della destra tipo An, con vaghe suggestioni evoliane (le più pericolose) e un costante richiamo ai valori della tradizione. Mai però declinati. Se il Dio di Abramo e di Giacobbe, il Dio dei Profeti (Amos, Isaia, Michea, Osea) e di Gesù Parola incarnata, è Amore, ne consegue che le virtù e i valori (espressione per altro non biblica) che ne discendono sono quelli delle pagine “sparite” dal Vangelo solo copertina.

Il perdono, anzitutto, la povertà, la mitezza (dunque il dialogo, l’accoglienza, l’incontro con l’altro, con il “diverso”…) la sete di giustizia, la pace, il rifiuto della logica delle armi (Gesù che fa rinfoderare la spada a Pietro), l’umiltà, la purezza di cuore, la speranza, la fortezza interiore, il farsi piccolo… il rifiuto del perbenismo… il resto sono frottole ideologiche. Inutile poi spendere ancora parole sui falsi storici e ideologici su San Francesco. Per togliersi ogni dubbio basta leggere le molte biografie di Francesco: da quella di Raoul Manselli, storico credente, agli studi “laici” di Jacques Le Goff e di Chiara Fragoni.

Semmai il problema è proprio quello opposto. Il ritorno alle fonti francescane autentiche (dalle quali emerge un santo radicalissimo nelle sue scelte di povertà e rifiuto della violenza) a confronto con le biografie edulcorate per ragioni ecclesiali di Tommaso da Celano e san Bonaventura. Se volessimo usare l’accetta, come non conviene perché il ragionamento e l’approfondimento deve sempre prevalere sugli slogan, dovremmo semmai dire che sì, un “complotto anticristiano” esiste. È quello che vuole trasformare la persona, il cittadino, in utente consumatore, è l’indifferenza al divario nord sud del pianeta, alla lotta alle povertà, alle malattie, per l’istruzione. È quello che dimentica che la maggioranza dei cristiani oggi vive nel sud del mondo ed è fatta di poveri molti dei quali (come i cattolicissimi italiani e irlandesi dell’8-’900) costretti ad emigrare in fuga dalla fame e dalla guerra.

Né si può dimenticare che ogni collocazione “geografica” del cristianesimo è riduttiva del suo messaggio, e persino blasfema per una esperienza di fede (molto di più di una “religione”) che è nata nel Medio oriente, che ha grandi tradizioni orientali alle quali sono aggiunte ora nuove e ricche di fede e speranza tradizioni del sud del mondo. In fondo quando molte città italiane ed europee erano villaggi pagani, in molte città dell’Asia minore, in molti paesi arabi (dall’Egitto, al Libano, alla Siria, all’Iraq) come in Etiopia e persino in India c’erano fiorenti comunità cristiane… chiunque trasforma il libro delle Beatitudini e del Magnificat, e la Croce della apparente sconfitta sulla terra della parola di Dio uccisa dalle potenze e potestà di questo mondo e dalla durezza “ideologica” di cuore, costui collabora ad un “complotto anticristiano”.

Sono le moderne cattedrali neopagane, i centri commerciali, è la precarietà a cui troppi giovani sono costretti (precarietà di lavoro, ma anche di rapporti affettivi, di scelte di vita…) sono il rifiuto dell’altro, i veri complotti anticristiani.

Piuttosto che cercare ancora qualche vantaggio per le “opere”, bisognerebbe cercare, come disse Scalfaro alla vigilia dell’invito di Fini a Loreto, di educare forti coscienze all’interesse collettivo, al bene comune, ad impegnarsi in politica e nel sociale non per difendere una bandiera o una tessera, ma per servire con gli strumenti laici della democrazia l’altro e gli altri. Un modello riuscito c’è. O forse c’era. La costituzione repubblicana. Dove, pur senza nominare Dio, il contributo dei cattolici, democratici liberali o personalisti, fu enorme e determinante e costruì una carta comune lavorando fianco a fianco con comunisti, azionisti, socialisti, repubblicani, liberali. Secondo il mandato evangelico: lievito e non forno. Sale e non saliera.