che le loro urla non ci facciano dormire…

Tre verità dai rapporti sui lager libici

Nel numero 3/2019 della rivista il Margine è disponibile l’articolo di Vincenzo Passerini sul dramma dei migranti. Vi forniamo di seguito una ampia anticipazione.

di VINCENZO PASSERINI

Mediterraneo blindato, soccorsi delle Ong impediti, marina militare italiana frenata, navi con naufraghi bloccate nei porti o in mare. Crollano gli arrivi dei profughi. Grandi sospiri di sollievo. Ma i nostri sospiri di sollievo sono le loro urla di dolore. Che non ci facciano dormire la notte. Urla di profughi che annegano senza che nessuno li veda. O li soccorra. Non sapremo mai quanti. Urla di profughi che nei campi di raccolta-lager in Libia vengono picchiati, violentati, torturati. A morte, per-fino. Urla di profughi rimandati dagli italiani in Libia, come i 150 della nave Lady Sham, il 21 gennaio scorso. Imploravano: «Non ri-mandateci indietro! Meglio morire! Non ri-mandateci indietro!». I nostri sospiri di sollievo sono le loro urla di dolore.

CHE POPOLO SIAMO DIVENTATI?

Come possiamo rifiutarci di salvarli? Come possiamo rimandarli in Libia se sappiamo che quello per loro è un inferno? E fare questo in nome della legge? Brandendo perfino il rosario e il Vangelo? Che popolo siamo diventati?

Noi lo sappiamo che la Libia è un inferno per i profughi. Lo hanno testimoniato molti giornalisti coraggiosi e autorevoli organizzazioni umanitarie internazionali. Lo testimoniano i rapporti delle Nazioni Unite. Ne abbiamo addirittura quattro negli ultimi tre anni. L’ultimo è del 20 dicembre 2018: «Desperate and dangerous: Rapporto sulla situa-zione dei diritti umani dei rifugiati e dei migranti in Libia». Il 12 febbraio 2018 c’era stato un Rapporto del Consiglio di Sicurezza sulla Missione Onu in Libia. Il 18 dicembre 2017 un Rapporto sulla tortura. Il 13 dicembre 2016 il rapporto «Detained and Dehumanized: Violazioni dei diritti umani contro i migranti in Libia».

Tre verità escono da questi rapporti.

  • La prima: i centri di raccolta dei migranti in Libia sono dei veri e propri lager.
  • La seconda: questi lager sono allestiti e gestiti con la complicità-coinvolgimento delle autorità politiche e militari della zona.
  • La terza: Europa e Italia finanziano e armano le autorità militari e politiche libiche perché fermino i migranti in questi lager o ve li riportino quando vengono soccorsi in mare.

I lager. I migranti sono trattenuti in capannoni o hangar in condizioni disumane, picchiati e torturati, le donne violentate, finché i loro familiari non pagano un riscatto. La richiesta di riscatto avviene via telefono mentre il migrante viene picchiato a sangue o torturato in modo che i familiari sentano, e a volte vedano, in diretta che cosa accade e può accadere se non pagano. Ad avvenuto pagamento, tramite emissari appartenenti all’organizzazione, i migranti vengono portati all’imbarco per l’Italia. La morte o la vendita al mercato degli schiavi attende chi non paga. Accanto ai documenti delle Nazioni Unite abbiamo, sui lager libici, anche una sentenza della Corte di Assise di Milano del 10 ottobre 2017 che ha condannato all’ergastolo il somalo Matammud Osman giu-dicato responsabile, grazie a una decina di testimoni «assolutamente credibili», della morte di 13 profughi nel lager libico di Bani Walid che il somalo gestiva con violenza inaudita verso i migranti. Le 132 pagine della sentenza sono un documento sconvolgente sulle condizioni di vita nel centro di raccolta di Bani Walid:

«Questo era dotato di un grandissimo hangar all’interno del quale venivano tenute recluse circa cinquecento persone. Intorno a questo capannone c’era un cortile sorvegliato da uomini libici armati di fu-cili, rinchiuso a sua volta da mura di cinta. I migranti dormivano tutti insieme, uomini e donne, nel capannone ed erano così ammassati che non c’era neanche lo spazio per muoversi. L’hangar non era areato, le condizioni igieniche erano del tutto scadenti, c’erano pidocchi ovunque, molti migranti soffrivano malattie della pelle. Non potevano lavarsi, il cibo fornito era scarso. La notte il capannone veniva chiuso dall’esterno con un lucchetto e da quel momento veniva negato anche l’accesso ai due bagni che si trovavano subito fuori dal capannone, ma sempre all’interno delle mura. Fuori dal capannone vi erano anche alcune piccole costruzioni: una stanza detta Amalia o anche stanza delle torture… La libertà sia all’interno che all’esterno degli hangar era inesistente».

Il somalo aguzzino che gestiva il campo diceva ai migranti: «Da qui possono uscire solo due persone: una persona che ha pagato i soldi e una persona che è morta». In ogni momento entrava nel capannone e portava via le ragazze che voleva.

Seconda verità. La Libia non ha uno Stato, ma due governi e innumerevoli milizie e bande di criminali che si spartiscono e contendono il potere. L’Onu, scrive, «ha credibili informazioni sulla complicità di ufficiali dello Stato, rappresentanti del Ministero degli Interni e della Difesa nel traffico di migranti e rifugiati». Non esistono carcerieri, aguzzini, trafficanti e scafisti che non agiscano con la complicità o il coinvolgimento delle autorità politiche e militari.

Terza verità. Europa e Italia hanno costruito a partire dal 2016 (governi Renzi e Gentiloni di centrosinistra) la Guardia costiera libica, con finanziamenti, dotazioni di motovedette e armi, formazione di personale. Ci sono relazioni molto strette tra Guardia costiera libica e milizie locali che gestiscono il traffico dei migranti. L’Onu documenta l’uso di armi da fuoco, la violenza fisica, e comportamenti razzisti da parte della Guardia costiera libica nei confronti dei migranti. «Non riconsegnateci a loro!», urlano i migranti. I nostri sospiri di sollievo sono le loro urla di dolore. (continua)

Il seguito dell’articolo è disponibile sulla rivista Il Margine

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