di Claudio Consonni
Alle ore 5,30 di sabato 16 ottobre 1943 a Roma iniziò la tristemente nota razzia e deportazione degli ebrei.
Liliana Segre in un recente intervento pubblico ricordò di essere andata in pellegrinaggio dal Papa con diversi parenti e di aver potuto notare le sue larghe braccia ma, cito a memoria, “queste braccia che abbiamo visto larghe nelle foto della Roma bombardata non si sono viste davanti al treno della deportazione”. La Senatrice a vita lo diceva con un sentimento misto tra una speranza, un sogno giustamente cullato, e la tristezza dei fatti che la sua lunga vita le ha consentito.
Noi Italiani non abbiamo avuto il coraggio di scegliere quella data per la “Giornata della Memoria” ma abbiamo ‘pasticciato’ mettendo assieme i deportati ‘italiani nei campi nazisti’ (IMI e politici) e individuando la liberazione di Auschwitz del 27 gennaio 1945. Abbiamo cioè mascherato la complicità all’antisemitismo germanico, con tutte le leggi persecutorie degli anni 30, che fu tutta responsabilità del Regno.
Sovrapporre l’evento liberatorio, operato dai Russi in Polonia, alla tragedia della deportazione e dello sterminio degli ebrei non fu una buona scelta ma da oltre 20 anni questa Giornata è stata istituzionalizzata e giustamente deve continuare ad essere celebrata con la massima cura.
Il titolo del provvedimento legislativo è:
“Istituzione del ‘Giorno della Memoria’ in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti”.
Anche sulla limitante dizione ‘nei campi nazisti’ meriterebbe delle riflessioni che esulano da questo articolo.
Il Ministro Valditara ha però inserito nel “Treno del Ricordo” del febbraio scorso un vagone dedicato agli IMI e anche esponenti della maggioranza sono già intervenuti per proporre di ‘isolare’ gli IMI.
Perché complicare ancor di più la difficile costruzione della Memoria nazionale fissata nel 27 gennaio?
Riprendiamo dunque un progetto che abbiamo lanciato come “Rosa Bianca” alla scuola nazionale di Assisi nel 2020 intitolato ‘L’ora dell’inciampo’ (L’ora dell’inciampo) per specificarne una parte che non pare abbia fatto molti passi avanti. Basiamo questa considerazione sulle notizie pubbliche degli anni trascorsi, trattandosi di progetto aperto in totale autogestione da parte delle scuole, e la trasformiamo nell’invito alla ricerca e agli approfondimenti.
Nella parte di Memoria che riguarda la SHOAH si tratta dell’esame all’interno di ciascuna scuola esistente negli anni 30 della corrispondenza istituzionale sull’applicazione delle leggi razziste, dei registri di classe e dei fascicoli personali dei dipendenti alla ricerca degli ebrei.
Pochissime scuole di grandi città l’hanno fatto e quasi esclusivamente sul solo spunto giustamente dato dalle persone di cui si aveva notizia o interessate, da loro discendenti e Istituzioni ebraiche. Ancor meno queste terribili vicende sono state raccolte e raccontate in libri e opere fruibili al grande pubblico e citate nei siti web istituzionali; la gran parte ha costituito una esperienza fruttuosa per questa o quella classe, scuola in questo o quell’anno, che magari si è conclusa con l’intitolazione di aula o biblioteca.
La realtà è ben diversa in quanto quelle leggi furono pedissequamente applicate su tutto il territorio nazionale e dell’Impero e, quindi, la ricerca basata solo su argomenti di civiltà o “educazione civica” (per usare un termine noto nelle scuole) è, quantitativamente parlando, appena all’inizio.
Come è da fare nei Comuni, nelle Province dell’epoca, negli enti pubblici senza dimenticare gli altri luoghi di lavoro come le fabbriche. A questo compito potrebbero efficacemente dedicarsi docenti e studenti delle scuole fondate dal secondo dopoguerra in qua.
La nostra Associazione resta a disposizione delle scuole e promuove percorsi con docenti e studenti rivolti alla cittadinanza per il futuro, memoria e parole per non tacere (se si fosse interessati al percorso, scrivere a rosabianca@rosabianca.org).
Per essere concreti presento tre casi di docenti in altrettante scuole diverse e tuttora esistenti, che sto seguendo da quando mi sono accorto che la mia, se posso dire a distanza di decenni “collega”, Emilia Camerini è stata non solo licenziata ma anche ammazzata ad Auschwitz.
Trovai i nomi su di un libro di non facile consultazione (Annalisa Capristo, Giorgio Fabre, Il registro. La cacciata degli ebrei dallo Stato italiano nei protocolli della Corte dei Conti 1938-1943) ma efficace sia per i docenti della scuola superiore che di organismi collegati all’allora Ministero dell’Educazione nazionale. Prima di proseguire preciso che non è ancora stata pubblicata ricerca analoga su docenti delle scuole dell’obbligo ma nemmeno su tutto il personale non docente e, soprattutto, sugli alunni di tutte le età.
Ecco le professoresse Elda Luzzatti, Levi e Emilia Camerini in Rugliano
La prima dopo il licenziamento dal “Parini” di Lecco e dalla Società Italiana di Scienze Naturali fondata a Milano che faceva capo, come anche oggi, al Comune di Milano tramite il Museo di Scienze naturali si trasferì da Milano a Roma dove insegnò alla scuola ebraica ma di lei non si seppe più nulla.
Della Professoressa scienziata non si vuole interessare la scuola “Parini” di Lecco, più volte sollecitata in anni e modalità diverse.
Nemmeno risulta pubblicamente che il Museo e il Comune di Milano abbiano però fatto passi avanti dopo la mia segnalazione. Il Museo ha documenti su diverse persone tra licenziate e allontanate ma non ha ancora pubblicato un lavoro organico sulla messa in atto delle discriminazioni. Il Comune di Milano ha sì svolto un lavoro sui dipendenti diretti ma non lo ha ancora esteso ai numerosi enti pubblici collegati (Musei ma anche servizi pubblici).
La seconda è una Levi e ha insegnato al liceo “Zucchi” di Monza (che ho frequentato negli anni 70) ed è stata anche riammessa al suo lavoro dopo la guerra. Il volume celebrativo dei 250 anni dedica 2 righe, poche parole compreso l’errore di nome che non riporto, ma la vicenda degli ebrei espulsi non si limita a una unità ed è ancora tutta da ricostruire.
La terza è la collega della scuola in cui ho lavorato nei miei ultimi anni di servizio. Insegnava disegno ai geometri del “Mosè Bianchi” di Monza dopo aver vinto il concorso nazionale, si sposò in Milano e venne licenziata alla fine dell’anno scolastico. Tornata a Trieste fu poi purtroppo anche deportata per morire ad Auschwitz.
Tre persone di cui mi sono prefisso di far emergere la storia professionale per essere concreto, come mi permetto di invitare tutti noi ad essere. L’esistenza di volumi ‘celebrativi’ delle scuole in questione come quelli di cui pubblico le copertine ‘saltano’ non solo le vicende delle professoresse individuate ma l’intero argomento.
In tutte le scuole e negli Uffici pubblici, esistenti negli anni 30, vi sono i documenti della corrispondenza ministeriale, prefettizia e poliziesca sulla ricerca e sulla individuazione degli ebrei.
In quante scuole, Comuni e Uffici pubblici li abbiamo visti esposti almeno un 27 gennaio?
Questa semplice iniziativa non va nemmeno a toccare il tema, pretestuoso al 99%, della privacy perché se anche venissero pubblicati nomi di persone ebree, sempre al fianco di quelle delle autorità – fino all’ultimo degli impiegati che hanno firmato le corrispondenze e disposizioni fasciste – alla distanza di quasi un secolo nessuno può accamparlo. Ma se anche vi fosse una ragione eccezionale di rispetto personale si potrebbe bypassare “sbianchettando” questo o quel cognome nelle riproduzioni dei documenti integrali.
Il punto è infatti sapere come e quando nella mia scuola, che ho frequentato, che frequento o in cui lavoro, nel Comune in cui abito, nell’azienda pubblica che serviva all’epoca etc, le leggi razziste siano state conosciute e applicate.
Questa documentazione, unita alle storie degli ebrei perseguitati come efficacemente attestate dalle Istituzioni ebraiche, deve far parte di qualsivoglia volume ‘celebrativo’ e, se già pubblicato, di una specifica ‘errata corrige’ in attesa di integrazione nella nuova edizione.
Claudio Consonni
claudio@consonni.info
dida
le copertine di volumi negazionisti di due scuole, si noti che uno fissa in copertina il 1938