Sette pensieri per Natale

articolo pubblicato su Il Trentino del 12 dicembre 2019

di Vincenzo Passerini

Sul presepe, accanto alla capanna dove, privati di ogni altra accoglienza, hanno trovato rifugio Maria, Giuseppe e il Bambino, metteremo quest’anno sette pensieri di altrettanti testimoni e autori, tratti da libri che vale la pena leggere o rileggere. Gli ospiti della capanna, presto perseguitati dal potere e costretti a fuggire dal loro paese, ben comprenderanno.

Cominciamo con un pensiero di Primo Levi, testimone di Auschwitz e grande scrittore. Da mandare a memoria: “A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che ‘ogni straniero è nemico’. Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come una infezione latente; si manifesta solo in atti saltuari e incoordinati, e non sta all’origine di un sistema di pensiero. Ma quando questo avviene, quando il dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo, allora al termine della catena sta il Lager. Esso è il prodotto di una concezione del mondo portata alle sue estreme conseguenze con rigorosa coerenza: finché la concezione sussiste, le conseguenze ci minacciano. La storia dei campi di distruzione dovrebbe venire intesa da tutti come un sinistro segnale di pericolo” (prefazione a “Se questo è un uomo”, 1947).

Il secondo pensiero è di Liliana Segre, anch’essa sopravvissuta ad Auschwitz, persona luminosa, senatrice a vita, sotto scorta per le continue minacce da parte di neonazisti e neofascisti, tornati arroganti e pericolosi grazie al clima di odio e razzismo alimentato dal leghismo e dal resto della destra. In un libro autobiografico, Liliana Segre ricorda la persecuzione fascista degli ebrei: “In tutta questa storia delle leggi razziali e dei diritti che giorno dopo giorno ci toglievano come fossimo persone pericolose e da tenere lontane dagli altri cittadini, cominciai a realizzare una cosa, e fu quello a sembrarmi veramente assurdo. Quello che accadeva a noi ebrei, avveniva nell’indifferenza generale.” (“Fino a quando la mia stella brillerà”, 2018, pp.76-77).

Illuminante un pensiero di Heinrich Mann, fratello di Thomas e, come questi, scrittore. Con Hitler al potere, nel 1933, Heinrich deve lasciare la Germania. Spiega ai popoli liberi il cuore della tecnica dei nazisti: “Sono riusciti a impadronirsi di questo paese per mezzo dell’odio” (da “L’odio. Riflessioni e scene di vita nazista”, 1933, edizione italiana 1995, p. 30).

Tra gli scrittori tedeschi costretti a fuggire c’era anche il pacifista Erich Maria Remarque che all’estero, nel 1939, pubblica “Ama il prossimo tuo”, un bellissimo romanzo sulla tragedia dei profughi, respinti, perseguitati, privati dei diritti in tanti paesi cosiddetti democratici, accolti e protetti da un pugno di giusti: “Viviamo fra lo sconvolgimento di tutti i valori, Kern. Oggi si insegna a considerare colui che assale come il guardiano della pace, le vittime e i perseguitati come i perturbatori della pace nel mondo. E c’è una gran parte di popoli che credono in ciò” (edizione italiana 1945, p. 98).

Il quinto pensiero è tratto dal libro di Enzo Barnabà, “Aigues-Mortes, il massacro degli italiani” (2015) dove si racconta il barbaro linciaggio di dieci innocenti operai immigrati italiani nella Francia meridionale. Il linciaggio accadde il 17 agosto 1893 in un clima esasperato di odio contro gli stranieri alimentato dalla destra i cui giornali scrivevano: “La presenza degli stranieri in Francia costituisce un pericolo permanente, spesso questi operai sono delle spie; generalmente sono di dubbia moralità, il tasso di criminalità è elevato…gli italiani hanno esportato in Francia i costumi del loro Paese: i furti, gli stupri, le risse, gli omicidi…Sono sporchi, tristi, straccioni” (p. 52).

Pochi giorni fa, l’8 dicembre, è scomparsa a 81 anni una grande donna, Anna Bravo, storica, torinese. Con le sue ricerche e i suoi scritti ha cercato, con enorme passione e onestà intellettuale, di dar voce ai dimenticati della storia: le vittime, le donne, gli attivisti e i politici nonviolenti che hanno impedito spargimenti di sangue. Diede voce, lei donna di sinistra, alle vittime dei regimi comunisti, dimenticate dalla sinistra, e chiamò la violenza della sinistra, anche quella dei nuovi movimenti (lei veniva da Lotta Continua), col suo nome, senza attenuanti. Nel libro, “La conta dei salvati” (2013), racconta storie poco ricordate di nonviolenza: da Gandhi agli oppositori di Hitler, dal Kosovo al Tibet. Dal libro un pensiero di Anna Bravo sulla nonviolenza per il nostro presepe: “Non è pavidità né remissività: richiede pazienza, mitezza e coraggio davanti alla ferocia altrui – esiste una combattività nonviolenta molto temuta da chi è al potere. Non è spontaneismo ingenuo: inventa tattiche nuove” (p. 11).

Il settimo pensiero è di un’altra grande donna, Dorothy Stang. Americana, suora missionaria nell’Amazzonia brasiliana, fu uccisa a 73 anni nel 2005 perché difendeva i contadini minacciati dai commercianti di legname e dai latifondisti (secondo Global Witness, nel 2018 sono stati 164 i difensori dei diritti umani delle persone e del loro, e nostro, ambiente uccisi nel mondo per questo impegno). Suor Dorothy era consapevole dei rischi che correva, ma non abbandonò i suoi contadini (da R. Murphy, “Martire dell’Amazzonia. La vita di suor Dorothy Stang, 2009, p. 130): “Hanno avuto il coraggio di minacciarmi e di esigere che venga espulsa da Anapu, solo perché chiedo giustizia, sono amica della gente e apprezzo la sua sincerità, capacità di condividere, ospitalità, resistenza, risolutezza e disponibilità. Tutto ciò che chiedo a Dio è la grazia di aiutarmi a reggere questo peso, lottando per la gente affinché abbia una vita più giusta e perché impariamo tutti a rispettare di più la creazione di Dio”.