di Vincenzo Passerini,
da il “Trentino” di lunedì 2 settembre 2019
Il giovane sudafricano ucciso trent’anni fa in Campania: quel delitto aprì gli occhi degli italiani sulla realtà dei rifugiati (foto Ansa)
In questa stagione di raccolti, le campagne italiane, comprese quelle trentine, sono piene di lavoratori immigrati. Senza di loro, frutta e verdura marcirebbero sulle piante. Ma non lo si dice. Spesso gli stranieri sono sfruttati, talvolta hanno contratti regolari e dignitosi. Il 24 agosto scorso è stato ricordato Jerry Masslo, giovane sudafricano ucciso trent’anni fa in Campania: quel delitto aprì gli occhi degli italiani sulla realtà dei rifugiati.
Aprì gli occhi sul loro sfruttamento nelle campagne, sul razzismo presente nella nostra società. E segnò una svolta nelle politiche sui rifugiati. L’anniversario è anche un’occasione per riflettere sul nostro presente. Jerry Masslo era nato nel 1959 in Sudafrica nella stessa regione dov’era nato Mandela. La sua famiglia era povera, ma lo fece studiare. Eravamo in piena apartheid, Jerry fuggì in cerca di un futuro migliore e arrivò nel 1989 a Roma. L’Italia di allora riconosceva come rifugiati solo quelli provenienti dall’Europa dell’Est. Finì in prigione, lo liberarono dopo una settimana, gli consentirono di rimanere per un po’ in Italia. Per mantenersi, Jerry andò a fare il bracciante in Campania, a Villa Literno, in provincia di Caserta. Caporalato, sfruttamento, 15 ore al giorno di duro lavoro per pochi soldi, capannoni fatiscenti come abitazione. Jerry è tra coloro che fanno le prime proteste.
Il caporalato è una piaga storica, ma tutti fanno finta che non esista. Nella notte del 24 agosto un gruppo di ragazzi del luogo irrompe nel capannone dove Jerry ha trovato casa insieme ad altri venti braccianti. Vogliono rapinarli, Jerry non cede alle minacce e lo uccidono. In un’intervista alla Rai, che era andata pochi giorni prima a fare un servizio sui braccianti (lo ricorda Fausta Speranza in un bell’articolo su “L’Osservatore Romano” di domenica scorsa), Jerry aveva spiegato le ragioni di quelle prime proteste e la condizione degli immigrati e dei rifugiati: «Pensavo di trovare in Italia uno spazio di vita, una ventata di civiltà, un’accoglienza che mi permettesse di vivere in pace e di coltivare il sogno di un domani senza barriere né pregiudizi. Invece sono deluso. Avere la pelle nera in questo paese è un limite alla convivenza civile».
La sua morte scosse l’Italia e nei giorni seguenti ci fu a Roma la prima grande manifestazione antirazzista mai organizzata nel nostro Paese. Vi parteciparono 200 mila persone. Ci si accorse finalmente dei rifugiati non dell’Europa del’Est e dei braccianti sfruttati. Il governo Andreotti varò velocemente un decreto, poi convertito in legge (la cosiddetta legge Martelli, dal nome del ministro), con cui si riconosceva lo status di rifugiato anche ai richiedenti asilo extra-comunitari. Si vararono anche le prime norme sui diritti dei lavoratori stranieri, in seguito però scarsamente applicate. Tanto che soltanto nel 2011, e dopo il grande sciopero dei braccianti in Puglia, guidato dal coraggioso giovane africano Yvan Sagnet, il Parlamento italiano varerà la legge che introduceva finalmente nel nostro ordinamento giuridico il reato di caporalato. In quell’intervista alla Rai, poco prima di essere ucciso, Jerry Masslo aveva anche detto: «Noi del terzo mondo stiamo contribuendo allo sviluppo del vostro paese, ma sembra che ciò non abbia alcun peso. Prima o poi qualcuno di noi verrà ammazzato ed allora ci si accorgerà che esistiamo».
Jerry aveva purtroppo ragione. La sua morte aprì gli occhi all’Italia e la cambiò. Dopo trent’anni sembra però che l’Italia sia tornata a chiudere gli occhi. Quella “ventata di civiltà” che la sua morte suscitò finalmente nel nostro Paese trent’anni fa ha lasciato il posto a una ventata di barbarie.
Vincenzo Passerini