Ricordando Vittorio Bachelet

La sera del 28 agosto 1983 a Brentonico (TN), nell’ambito della scuola estiva di formazione politica Achille Ardigò, Paolo Giuntella, Roberto Ruffilli, Pietro Scoppola presentavano due libri “Discorsi (1964-1973)” di Vittorio Bachelet e “Al di là della politica e altri scritti” di Aldo Moro. Di quella serata viene riproposto parte dell’intervento di Roberto Ruffilli da poco eletto senatore, una lezione per tutti coloro che sono impegnati in politica. Il testo è stato pubblicato integralmente su Il Margine 5/98 e successivamente su Aldo Moro e Vittorio Bachelet, Memoria per il futuro.
di Roberto Ruffilli
Dei due testi che stasera presentiamo per ricordare Aldo Moro e Vittorio Bachelet io cercherò di cogliere alcuni spunti che mi sembrano particolarmente significativi per l’oggi nell’affrontare quello che è il rapporto tra fede e politica, avendo riguardo a quella esigenza che è emersa nella prima parte dei lavori della scuola e cioè la ricerca del senso.
Noi sappiamo che il rapporto fede-politica ha tutta una sua storia. Sappiamo che vi sono state delle conquiste che non vorremmo veder messe in discussione, sia per quanto riguarda il rapporto Chiesa-Stato, sia per quanto riguarda il rapporto laicato-gerarchia.
Vi sono state, attraverso proprio l’apporto del laicato, una serie di significative conquiste per quanto riguarda la distinzione dei piani, il piano religioso e il piano politico; per quanto riguarda lo sviluppo della laicità, una sana laicità secondo formula cara ai cattolici; per quanto riguarda l’aconfessionalità del partito che ai cattolici cerca di rifarsi.
Ma non è in rapporto a queste conquiste che io vorrei richiamare la vostra attenzione su alcuni passi che possiamo trovare in questi testi. Vorrei invece domandare a questi due libri, domandare a queste due persone, considerandole anche per questo ancora vive, ancora in mezzo a noi, lumi, suggerimenti, indicazioni per affrontare il tema del superamento di due grandi tentazioni che poi in realtà non sono mai superate, sono sempre presenti a proposito del rapporto tra fede e politica: la tentazione della subordinazione assoluta dell’uno all’altro termine e la tentazione della separazione assoluta.
Sulla impossibilità della subordinazione della fede alla politica, o viceversa, abbiamo, ripeto, una serie di conquiste che, nonostante tutto, in questo periodo non corrono grandi pericoli. Vorrei invece richiamare in particolare l’attenzione sui limiti che stanno emergendo a proposito dei tentativi che a livello teorico e a livello pratico sono stati fatti per una separazione assoluta dei due termini.
…
Direi che l’aspetto più significativo è questo: la realizzazione di un rapporto fra politica e fede è legata al contributo che il cristiano può dare con l’azione politica nel concretizzare le grandi virtù teologali della fede, della speranza, della carità.
A questo livello il rapporto gerarchia-laicato in qualche modo diventa meno dirompente di quanto non sia stato storicamente. D’altra parte, grazie alle acquisizioni del Concilio, noi sappiamo che gli uni e gli altri sono calati nella più generale prospettiva del popolo di Dio.
Credo che da questo punto di vista si rivelino particolarmente illuminanti le indicazioni che troviamo nel grande testo di uno dei maestri di questi due autori, e cioè nell’Octogesima adveniens di Paolo VI che a mio avviso costituisce uno dei punti più alti della riflessione per quanto riguarda il rapporto tra politica e fede nel nostro tempo.
Io mi limiterò a dare alcune indicazioni sul modo con il quale Moro e Bachelet hanno affrontato questo rapporto tentando di realizzare le fondamentali virtù del cristiano. Daremo poi spazio alla lettura diretta dei loro testi. In particolare c’è un punto molto ben scolpito in questi scritti di Moro, che noi troviamo anche nei discorsi di Bachelet, ed è la necessità di tenere unite trasformazione della società, riforme di struttura – secondo la formula che usa Moro già in quegli anni e che possiamo trovare, magari in altre versioni, in Bachelet – e riforma dell’uomo, cioè conversione dell’uomo; la necessità di legare il modo di fronteggiare le grandi trasformazioni che ci stanno di fronte alla continua conversione dell’uomo – metànoia, per usare il termine tecnico greco – secondo le indicazioni, la guida, lo stimolo della fede. Riforma delle strutture, riforma delle istituzioni, riforma della società nel suo complesso hanno un passaggio fondamentale nell’esigenza di una riforma interiore dell’uomo. Da questo punto di vista il discorso della scelta religiosa dell’Azione Cattolica nella visione di Bachelet, a mio avviso, per quel poco che io ho potuto capire, va ricondotto ad un modo di essere attraverso il quale l’Azione Cattolica poteva svolgere, fra le altre, anche una funzione di servizio alla società nel suo complesso. La crescita sul piano religioso e spirituale, sul piano della fede, nella misura in cui è realizzazione appunto della vera conversione, è un passaggio importante anche per l’azione sul piano politico, anche per l’azione politica diretta alla trasformazione della società. Altro passaggio fondamentale: il discorso della carità.
È il discorso dell’amore, è il discorso del servizio. Non a caso un libro su Bachelet si intitola Servire.
Noi sappiamo che questo termine è stato un po’ logorato dall’abuso che ne è stato fatto. Ha perso lo smalto perché l’abbiamo visto in bocca a persone che non hanno saputo adeguarsi sul piano dei comportamenti concreti, ma noi sappiamo che questa idea del servizio, del potere come servizio, è uno dei modi con i quali si estrinseca la carità. Una delle formule più belle che è stata inventata per la politica a livello di magistero è quella della politica come forma più alta di amore per gli altri.
…
E l’ultimo punto è la speranza. Leggendo queste due raccolte di scritti noi constatiamo l’estremo realismo sia di Aldo Moro che di Vittorio Bachelet.
Sanno che la realtà della vita dell’uomo, della società nel suo complesso è una realtà materiata di bene e male; non vi sono settori che si sottraggano alla presenza del male, non vi è struttura ecclesiale perfetta, non vi è un momento della politica senza colpe. Sanno che vi è una presenza di bene e male, ma vi è appunto la speranza che alla fine il male non potrà avere la meglio.
E quindi, anche senza la sensazione di un successo immediato, vi è però la spinta a fare la propria parte perché domina la speranza che il bene alla fine prevarrà.
Per una via di questo tipo c’è poi una serie di passaggi organizzativi nel rapporto tra fede e politica, passaggi che noi troviamo splendidamente illustrati sia in alcuni passi di questi scritti sia nella
Octogesima adveniens. Il rapporto, da questo punto di vista, tra fede e politica, tra cristianesimo e democrazia è un rapporto che affida al momento religioso una formazione complessiva dell’uomo che accentui, per usare una formula che Paolo VI adotta nella Octogesima adveniens, l’educazione sia ai diritti della persona sia ai doveri.
Il rapporto fede-politica passa anche per quest’opera di formazione che il cristianesimo nel suo complesso deve svolgere.
L’altro passaggio fondamentale è l’educazione all’assunzione di responsabilità.
Su questo punto insistono sia Moro che Bachelet, come insiste il Pontefice. Esso implica il riconoscimento del ruolo crescente della coscienza della persona umana nelle scelte ad ogni livello e del ruolo positivo della ragione dell’uomo pur nella consapevolezza che anche a questi livelli continua ad operare la lotta tra bene e male.
L’ultimo elemento è il metro per misurare l’apporto che il cristiano può dare alla politica, alla realizzazione della democrazia. Mi sembra che dalle posizioni sia di Moro che di Bachelet emerga chiara una cosa: questo metro non può essere il successo, né le realizzazioni che si possono chiaramente constatare.
Certo, quello è il metro della politica, ma per il cristiano impegnato in politica il modo per misurare il suo apporto richiede l’apertura ad altre dimensioni. C’è qui l’accettazione dell’indicazione di San Paolo a proposito dell’importanza di combattere la buona battaglia in sé. I risultati potranno esserci o potranno non esserci subito, ma l’importante è la buona battaglia.
E per chiudere penso che valga la pena leggere prima Moro e poi Bachelet a proposito di alcuni punti che qui ho appena accennato.
In particolare di Moro voglio richiamare un saggio della fine del 1948. S’intitola L’iniziativa spirituale. Ovviamente ognuno di questi saggi andrebbe collocato nel suo tempo; qui noi sentiremo delle affermazioni abbastanza singolari, ma per capirle bisogna tener presente che questo saggio si riallaccia alla polemica che la sinistra dossettiana stava facendo nei confronti di alcune scelte che Degasperi e i suoi venivano realizzando sia sul piano della politica estera sia sul piano della politica interna.
Scrive Moro:
«Di fronte ai grandi problemi del momento le possibilità (e conseguentemente le responsabilità) del cristianesimo sono, com’è noto, immense. Sono possibilità che l’esperienza storica va svolgendo ogni giorno e che si concretano in assunzioni di compiti e di poteri nei più diversi settori della vita sociale. Forse la insufficiente rispondenza che storicamente si riscontra in relazione alle responsabilità proprie del cristianesimo, una certa debolezza e stanchezza nell’azione sociale dei cattolici sono appunto dovute alla complessità intrinseca dei compiti ed alla diversità delle prospettive secondo le quali il cristianesimo si muove in questa interessante esperienza storica.
È divenuto ormai quasi abitudinario il richiamo ai due diversi piani sui quali opera il cristiano, quello della politica contingente e l’altro proprio della spiritualità cristiana. Ed egualmente frequente ed imperativo è il richiamo al dovere di essere presenti in entrambi gli ordini secondo il carattere proprio di ciascuno, ma con quei legami, quelle interferenze, quelle coordinazioni che corrispondono alla esigenza essenzialmente unitaria della personalità umana. Ma altro è enunciare teoricamente una verità, altro è tradurla in pratica; altro è delineare un equilibrio difficile, altro è avere la misura, il tatto, il senso di responsabilità indispensabili per riprodurlo tutte le volte che sia necessario. Così di volta in volta, a seconda dei momenti storici, sotto la pressione di esigenze diverse l’un aspetto o l’altro finiscono per prevalere: o il cristiano politico, a scapito di ogni altra risorsa, chiede per sé tutti i compiti e tutti i poteri, o, per dir così, il cristiano integrale soffoca ogni istanza politica in una rarefazione mistica che disconosce le concrete forze operanti nella vita sociale.
…
Per quanto riguarda Bachelet vorrei invece richiamare un passo di un suo discorso del 1972: «È più che mai necessario insistere, infatti, sull’unità dell’esperienza cristiana nella vita di ciascuno di noi. La pretesa di separare una dimensione “verticale” da una “orizzontale” nella vita e nell’impegno del cristiano è radicalmente contraria all’insegnamento evangelico che dà il primato all’amore al Padre in Cristo ma ci chiede contemporaneamente, quasi a conferma di quell’amore, di amare Cristo nei fratelli.
Tale unità va ancor più riscoperta e vissuta in un mondo secolarizzato, che, mentre potenzia la legittima autonomia dell’uomo nel costruire la sua civiltà, pone in realtà sempre nuovi e drammatici problemi morali e spirituali a chi voglia vivere con coerenza cristiana nella civiltà che si sta costruendo. Anzi, in un certo modo una autentica coerenza cristiana non può non costituire una sorta di coscienza critica e animatrice dello stesso progresso umano»
(Discorsi, pp. 213-214).
E per chiudere il mio intervento penso che non ci siano parole migliori di queste di Bachelet: «Il servizio di carità e l’impegno culturale, civile, politico non sono che la traduzione concreta di quell’amore di Cristo nel prossimo che ha forme diverse ma è sempre essenziale per il cristiano (è questa dell’impegno anche politico del cristiano una riscoperta soprattutto della teologia protestante che aveva in passato sottovalutato le opere come testimonianza della fede). Ma nella pigra società del benessere e in un mondo nonostante tutto individualista è indispensabile anche per i cristiani sottolineare l’educazione al servizio dei fratelli, l’educazione all’azione, ad assumersi le proprie responsabilità, a pagare di persona nelle scelte operative per la vita della comunità: prima ancora l’educazione ad un amore così grande da essere attento alle realtà, ai bisogni, alle ingiustizie, alle speranze, alle lotte degli uomini per sopravvivere in libertà» (ibidem, pp. 223-224).