Lettera di D.M.Turoldo al card. Carlo Maria Martini
30 settembre 1985
Eminenza,
Le chiedo un attimo di tempo e pazienza. Non posso non scriverLe in merito alla celebrazione dei “Preti nella Resistenza” alla sala dei Congressi dell’Unione Commercianti e Turismo di Milano.
Il mio stato d’animo è, si, di gioia e gratitudine per quei giorni vissuti da sacerdoti e cristiani (in vero, non tanti quanti ora si tende a far credere); e per l’iniziativa da Lei voluta, opportuna e doverosa.
Opportuna e doverosa, se non per altro, per richiamare alla memoria che il “prete” non può stare tra molte parti, ma da una parte sola: da quella dell’uomo braccato e offeso; non può stare che dalla parte dell’oppresso; e quindi della libertà da conquistare sempre. Ma insieme a questa gioia, una tristezza si è intrecciata inevitabilmente: per le cose dette dai due relatori: On. Taviani e Scalfaro. (Un po’ meno da Scalfaro: anche se lui pure un po’ troppo “cristiano”, non so se ingenuamente o volutamente). Dico di una tristezza dovuta all’aria che, di conseguenza, si era instaurata: un’aria di apologetica che più non convince, non persuade più nessuno, se non quelli che non hanno bisogno di essere persuasi, perchè sono tali per natura (non dico per grazia!). Apologetiche che persuadono tanto meno oggi, tempo di trionfalismi e di integralismi e di concupiscenze di potere che rischiano di avvelenarci tutti, in vari sensi!.
La tristezza era nella evocazione che, appunto rischiava di essere falsata da quella tendenza all’appropriazione indebita, e alla autoesaltazione fino a sviare lo stesso spirito della Resistenza. Io, Padre Camillo, noi, molti, anche preti. (Vedi Don Mazzolari ad esempio, vedi Padre Bevilacqua ad esempio) abbiamo fatto la Resistenza anche per abbattere questi steccati di un “chiesume” che non ha molto a che fare con la chiesa? Io, e molti di noi se non tutti, abbiamo fatto la Resistenza proprio per aprirci a tutta la libertà dello Spirito, nel rispetto di ogni fede. Uno dei miei compagni di lotta, insieme a Teresio Olivelli, è stato, ad esempio, Curiel, il successore di Gramsci alla direzione del giornale “L’Unità”; quando è stato ucciso, noi abbiamo in San Carlo celebrato una Eucarestia per lui con la partecipazione di tutti i suoi compagni comunisti del gruppo. Nostro compagno di lotta è stato Felice Balbo, capo dei comunisti cattolici di Torino (allora si chiamavano così). Per non dire di altri. Per dire di quale apertura era lo spirito della Resistenza, allora. Per dire come aveva ragione Mons. Ossola, doverosamente ricordato: “O preti, andate sui monti”.
Ecco, nella sala, ieri mattina, mancava questo spirito nelle relazioni dei due onorevoli, contrappuntate da troppo facili luoghi comuni (purtroppo, cristiani!), e loro – e la sala – così contenti del “nostro” potere di oggi. (Di oggi, ma domani?). C’era troppo aria di accaparramento e di gregarismo; quasi a dire: “Tacciano gli altri, che non sono dei nostri!”.
Ieri in questa sala io sentivo assenti i migliori spiriti della Resistenza, e specialmente i “Condannati a morte” autori di quelle lettere che dovrebbero essere un testamento religioso e civile per i nostri tempi, e che però – nella misura in cui non lo sоло -, la sconteremo; se già non la stiamo scontando. Perchè non si offendano i morti impunemente, e tanto meno impunemente si tradiscono questi valori.
Tanto era sviato lo spirito giusto (e – questo si – cristiano) della celebrazione che l’on. Taviani a un punto, parlando di Mario Gozzini, disse: “persino Gozzini, ricordando la sua lontana origine cristiana …” Come? Gozzini non è più cristiano perchè senatore della sinistra indipendente? Ma via! … “Non è più dei nostri!” Ma donde queste appropriazioni abusive di Cristo?
Per dire solo di qualche perla della mattinata di ieri. Per dire come io sentivo assente da quella sontuosa sala da “commercianti” tutti i poveri per cui avevamo fatto la Resistenza; tutti i poveri oggi perdenti; gli emarginati di quelle forze che più di altri hanno dato vittime per la nostra liberazione. Poveri perdenti, e però non perduti.
Per fortuna che le sue poche parole hanno riportato le cose nella loro giusta impostazione e dimensione: restituendomi la gioia che altri mi avevano turbato. Di questo La ringrazio. Come La ringrazio di tutto quello che fa, specie per ciò che significa, per noi e per molti, anche non cattolici. Grazie.
David M. Turoldo
P.S. Per un più opportuno sviluppo dell’iniziativa, e una più giusta valutazione della Resistenza in Milano, anche da parte dei cattolici (resistenza che fu morale e politica: perchè altro è il capitolo dell’assistenza, che fu grande, che fu generosa nonostante fosse sorvegliata e condizionata da svariati attendismi; altro è il capitolo della lotta che fu anch’essa condivisa da alcuni sacerdoti, e questa è resistenza), si considerano ottimi contributi, – fra una letteratura piuttosto copiosa, – alcuni studi di fonte cattolica come:
a) La Prolusione del Prof. E. Franceschini all’Università Cattolica per l’anno accademico 1945-1946 (prolusione uscita in volume presso “Vita e Pensiero”)
b) “La Politica Vaticana e l’Italia 1943-1978” di Sandro Magister (Editori Riuniti – Roma – 1979)
c) Una relazione di Mons. Maio a un convegno su “Milano tra guerra e dopoguerra” (non ricordo l’edizione)
Ringrazio di nuovo e mi scusi
Con sempre uguale devozione
David M. T.
(ndr essendosi svolto il convegno il 28 settembre risulta chiaro dalla ripetizione di tre volte di “ieri” che Padre David Maria ha scritto la lettera firmata per esteso ‘a caldo’. Il P.S. sarà stato del 30)