L’articolo 3

di PASQUALE PROFITI

Nel numero 4-5/2019 della rivista il Margine è disponibile l’articolo di Pasquale Profiti sull’art.3 della nostra Costituzione. Vi forniamo di seguito una ampia anticipazione.

«Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese
»
(Costituzione della Repubblica Italiana, art. 3)

L’eguaglianza dell’art. 3 della Costituzione è la nostra democrazia;
senza eguaglianza non vi è democrazia.

L’art. 3 della Costituzione non ci vuole tutti uguali.

L’art. 3 della Costituzione tutela le differenze e vieta le discriminazioni.

L’art. 3 della Costituzione, infatti, proibisce che qualcuno sia trattato peggio di un altro in ragione del suo sesso, della sua razza, della sua lingua, della sua religione, delle sue opinioni politiche e delle sue condizioni personali e sociali.

L’art. 3 della Costituzione tutela la diversità di chi vuole portare il velo o il crocifisso, di chi è bianco o nero, di chi vota per il rosso, per il verde o per qualsiasi altro colore, di chi è nato sull’una o sull’altra sponda del Mediterraneo, di chi risiede o di chi è nomade. Nessuno può essere pregiudicato per una di tali scelte o condizioni.

L’art. 3 della Costituzione vuole che chi incolpevolmente sta sotto per la sua diversità, abbia la possibilità, un giorno, di guardare in faccia, alla stessa altezza, chi oggi sta sopra.

L’art. 3 della Costituzione vuole che chi è nato sopra o si trova in alto non abbia privilegi solo per la sua superiorità.

L’art. 3 della Costituzione, quindi, non vuole leggi ad personam, chiunque sia la persona, leggi che escludono chi sta sopra dal rispetto di quelle regole che valgono solo per chi sta sotto, leggi che vogliono risolvere non i problemi di tutti o di una categoria di cittadini, ma privilegiare una persona o un gruppo di persone perché occupano un potere pubblico, un potere dato loro dalla stessa Costituzione, siano essi vincitori delle elezioni o dei sondaggi.

L’art. 3 della Costituzione vuole dare a tutti la stessa opportunità di partecipazione alla vita pubblica ed al lavoro, per non essere servi di nessuno, per poter scegliere di continuare ad essere diversi e darci così la spinta ad eliminare i nostri pregiudizi, quei pregiudizi che bloccano il progresso ed alimentano divisioni tra esseri umani.

L’art. 3 della Costituzione non vuole l’omologazione, l’assimilazione forzata, l’imposizione della stessa identità culturale per tutti gli esseri umani, perché sa che la diversità è ricchezza.

L’art. 3 della Costituzione vuole l’inclusione di tutti nella comunità, maschi e femmine, atei o credenti, dell’uno o dell’altra idea politica, affinché tutti possano dare il loro diverso contributo, affinché tutti sentano il dovere di mettere a disposizione una parte di sé a beneficio degli altri. È un dovere di partecipazione, quella partecipazione democratica che l’art. 3 non prevede come obbligo giuridico, ma è un’aspirazione che deve essere raggiungibile per tutti, un’aspirazione che, se sapremo cogliere, spontaneamente, senza tornaconto, costituisce la nostra vera libertà, perché non saremo in vendita e nessuno ci potrà comprare.

L’art. 3 della Costituzione vuole che questa possibilità di partecipazione per tutti, in egual misura, sia garantita attraverso una scuola pubblica gratuita per tutti, che non nega il diritto ad un’istruzione alternativa, ma che ne garantisce una adeguata a chi non vuole o non può rivolgersi a quella privata.

L’art. 3 della Costituzione vuole che l’informazione pubblica dia spazio alla partecipazione di tutti, vincitori o sconfitti nel percorso della democrazia.

L’art. 3 della Costituzione vuole leggi fatte per portare tutti in alto, qualunque sia la nostra diversità. Un’altezza che non si misura con i soldi, con il potere, con le donne e gli uomini di cui si dispone, a piacimento, come sudditi. È l’altezza che si misura con la partecipazione alla Repubblica, alla cosa pubblica, alla condivisione di un bene comune, un bene indiviso, che ci appartiene in egual misura. Questo bene ha un nome: si chiama Italia.